martedì 6 marzo 2012

FREEDOM CALL - Land Of The Crimson Dawn

LAND OF THE CRIMSON DAWN

Etichetta: SPV
Data di uscita: 24 Febbraio 2012
Genere: Power Metal













Introduzione:

Orfani del batterista e co-fondatore Dan Zimmermann (ora militante esclusivamente nei Gamma Ray), negli ultimi due anni i tedeschi Freedom Call, portabandiera di un happy power metal goliardico ed estremamente diretto, hanno girato l’Europa in tour con una formazione rodata e con il nuovo drummer Klaus Sperling, dando vita ad un bellissimo live DVD, tale “Live in Hellvetia” (recensito a questo link: http://recensionimetalfil.blogspot.com/2011/09/freedom-call-live-in-hellvetia.html), dimostrando l’esperienza e la compattezza della band anche in sede live. Dopo due anni dall’ultima fatica in studio “Legend of The Shadowking” (link per la recensione: http://recensionimetalfil.blogspot.com/2010/12/freedom-call-legend-of-shadowking.html), album abbastanza deludente sotto molti aspetti, i tedeschi tornano con un nuovo album, tale “Land Of The Crimson Dawn”, il primo senza Dan dietro alle pelli, lasciando al solo Chris Bay (co-fondatore, voce e chitarra) il traino dell’intero carrozzone e del songwriting principale. Mi sembra fin da subito giusto dire che LOTCD, già ad un primo ascolto, risulta essere decisamente migliore del suo predecessore. Tornano a farsi sentire le atmosfere happy-power che tanto hanno giovato ad album quali “Crystal Empire” (2002) o “Eternity” (2003), pur non scordando il recente passato del roccioso “Circle Of Life” e dell’altalenante “Dimensions” (2007). Insomma, in questa nuova fatica c’è un po’ tutto quello che ci si potrebbe aspettare dal sound dei Freedom Call, comprese alcune cupe atmosfere presenti negli ultimi lavori. Nonostante la musica contenuta nell’album in qualche occasione non sia sempre è all’altezza del marchio Freedom Call, il nuovo lavoro presenta un netto e sperato miglioramento dall’ultima release e suona sufficientemente eterogeneo e vario, pertanto siamo dinnanzi ad un album che alterna esaltanti lampi di genio ed idee semplicemente discrete. Per gli amanti della band e delle canzoni dirette, melodiche e semplici, quest’album risulterà essere un graditissimo ascolto con degli ottimi apici, anche se per tutti gli altri si tratterà dell’ennesimo prodotto destinato solo ad affollare il mercato. Io personalmente mi schiero nei primi: suvvia, un’oretta di musica solare ed incisiva non può che far bene all’animo. Giudizi soggettivi a parte, nonostante sembri chiaro che i quattro tedeschi non siano più in grado di regalarci un secondo “Stairway to Fairyland”, è anche chiaro che LOTCD rappresenta un capitolo vario e gradevole, in cui la band dimostra, in più di un’occasione, di essere ancora ben ispirata.


Track by Track:

La partenza secca e diretta di “Age Of The Phoenix” non lascia prigionieri: il power melodico e veloce di questa opener fa trasparire tutta la potenza del sound dei tedeschi. Il granitico ed orecchiabilissimo refrain costituisce un punto assoluto di forza e garantisce il giusto pathos atmosferico, grazie anche all’utilizzo di una cornamusa. Non c’è molto da aggiungere, questo è fottutissimo power metal, perfetto per l’apertura. “Rockstars”, nonostante il titolo, prosegue su coordinate identiche al brano precedente, tanto che i ritornelli di queste due song sono molto simili strutturalmente. In questa seconda traccia individuiamo un lato leggermente più aggressivo nel mood e nelle linee vocali di Bay. Per il resto, le melodie sono sempre di ottima fattura e l’incedere è decisamente power, con doppia cassa incessante su ritmiche velocissime. Inutile dire che, anche in questo caso, il ritornello è tutto da cantare. Le seguenti “Crimson Dawn” e “66 Warriors” rappresentano una doppietta sinceramente deludente e priva di spunti degni di nota. La prima denota un’ottima partenza che promette bene, con un’infuocata cavalcata da headbanging sfrenato, ma in seguito il brano si perde completamente in un refrain privo di mordente, talmente allegro e zuccheroso da essere addirittura fastidioso, come mai era accaduto con i Freedom Call. Nemmeno il malinconico intermezzo di piano o gli pseudo-growl riescono a bilanciare un brano molle come un budino. La successiva traccia, invece, è in grado di passare inosservata forse ancor più della precedente. I riff si susseguono in maniera stancante, senza un briciolo di originalità ed ancora una volta senza il giusto smalto, governati da un refrain piuttosto piatto sulle parole “Warrior, oh, warrior!”. Vi ricordate le trombe iniziali della mitica “Land Of Light” su “Eternity”? Eccole ripresentarsi proprio nel seguito di quella song, intitolata quasi istintivamente “Back Into The Land Of Light”, dove viene ripresa la stessa cavalcata e lo stesso suono del brano del 2003. Se nel vecchio brano l’atmosfera era decisamente combattiva e di incitamento, in questo nuovo capitolo il mood diventa più rilassato e solare. Nonostante il miele profuso a quintali dalle sue dolci note, il brano si fa ascoltare molto volentieri e ci regala cinque minuti di positività, grazie a melodie fresche e ad un refrain azzeccato e trionfante. L’atmosfera epic-power del disco cambia decisamente rotta con gli accordi droppati della potente “Sun In The Dark”. L’intro e la strofa acquistano toni quasi southern alla Kyuss (!), rappresentando un tocco di diversità nella tracklist. Quella lieve oscurità mostrata dai Freedom Call negli ultimi album si ripresenta in questa traccia strana ed inusuale, altresì dotata comunque di un discreto refrain. Canzone in fin dei conti piacevole ed apprezzabile quindi, che lascia spazio al singolo rockeggiante “Hero On Video”, song piacevole che riporta alla mente qualcosa del sound di “Dimensions”. Tralasciando il goliardico videoclip, l’incedere del brano ci trascina attraverso atmosfere allegre ma accattivanti, assimilabili alle song proposte da tanti gruppi pop-punk nei film adolescenziali americani, giusto per darvi un’idea. E’ chiaro che siamo molto distanti da questo, ma è innegabile che le tastiere anni ’80, la ritmicità del brano, le melodie spensierate ed il solare ritornello sprigionino allegria da tutti i pori. Vi mancava il power metal nudo e crudo, dopo queste ultime tracce? Nessun problema, i Freedom Call vi sono vicini e sparano l’happy power velocissimo di “Valley Of Kingdom”, classico brano nelle corde del gruppo. Strofe e melodie accattivanti esplodono in un refrain degno del primo passato della band, portando alla mente i fasti di “Crystal Empire”. Davvero notevole anche l’assolo chitarristico del giovane Lars Rettkowitz, a conferma di un ottimo brano che metterà d’accordo tutti i fans della band. Melodie folk in primo piano costituiscono l’introduzione di “Killer Gear”, song più oscura e riflessiva, in cui spiccano delle vocals più aggressive in occasione del cupo refrain. Questo episodio ricorda da vicino quella “The Blackened Sun” presente su “Dimensions”, che per prima, nella discografia del gruppo, aveva avuto il merito di dare un tocco d’oscurità al sound. Il brano non brilla per sprizzante originalità ma è discreto ed ascoltabile nella complessiva eterogeneità dell’album. Non contenti, i Freedom Call cambiano ancora volto sbattendoci in faccia l’hard rock stradaiolo di “Rockin’ Radio”, brano scanzonato e, manco a dirlo, allegro come pochi. Anche in questo caso, l’originalità non è un punto forte della song, ma il suo incedere scoppiettante non riesce a lasciare indifferenti e,  perlomeno, sarà in grado di strappare un sorriso o un po’ di positività anche ai metallari più tenebrosi. I toni tornano a farsi oscuri con il marziale intro di “Terra Liberty”, ma le cose cambiano presto: infatti dopo l’introduzione, in stile nu-metal-southern tanto caro al buon Zakk Wylde, la canzone in questione si apre in veloci bordate power nel bel refrain. Molto belli e ricchi di gusto anche i solos di chitarra di Lars, per un bel brano tutto sommato abbastanza fresco ed originale nella sua commistione di stili differenti. Il pianoforte e le lievi orchestrazioni di “Eternity” aprono un bellissimo midtempo dalle inflessioni più cupe e drammatiche, con tanto di inserti di voce femminile. Molto bello ed evocativo il ritornello, così come è azzeccato l’intermezzo solistico. Questo brano ci conferma che i Freedom Call sono in grado anche di regalarci qualche piccola perla di drammaticità all’interno del loro sound associato al divertimento, suggellando la sempre più crescente poliedricità di stili della band. L’ultima roboante prova di power metal puro e crudo, per gli amanti del settore, viene regalata con “Space Legends”: brano dinamico ed aggressivo nelle sue ritmiche di veloce doppia cassa, dotato di un fantastico e corale ritornello. Nulla di troppo originale, sia chiaro, ma finchè traspaiono l’energia e la potenza, tanto basta per apprezzare un’ottimo brano come questo. Ben fatta anche la parte centrale ed i brevi solos della sei-corde di Lars. Chiude questo bell’album “Power & Glory”, quasi un inno alla gioia ed al divertimento: le ritmiche rockeggianti della strofa esplodono in un chorus tutto da cantare alle feste folk, con tanto di cantorie da bar e cornamusa, sullo stile proprio di “Far Away”, la vecchia closer di “Dimensions”. I Freedom Call chiudono questo nuovo “Land Of The Crimson Dawn” come solo loro sanno fare, con una song che farà faville anche on stage: semplice, immediata e puramente dedita ad una spensierata allegria.


Considerazioni Conclusive:

Non è affatto facile tirare le somme di un lavoro poliedrico come questo “Land Of The Crimson Dawn”; da una parte abbiamo brani trascurabili, dall’altra dei veri e propri manifesti di energia musicale, in mezzo a molti brani semplicemente discreti ed ascoltabili. La varietà stilistica dell’album tende spesso a creare un po’ di disorganicità nell’intero lavoro, ma perlomeno è da riconoscere l’impegno nel voler creare qualcosa di più originale che non tenda a stancare l’ascoltatore. Le prestazioni tecniche dei singoli musicisti sono indiscutibili: nonostante l’immediatezza e semplicità dei brani, i nostri tedeschi dimostrano una padronanza ineccepibile agli strumenti rispettivi, comprovando la loro professionalità anche on stage, così come gli arrangiamenti, i cori, le tastiere ecc… sono tutti studiati in maniera esemplare per dare vigore alle varie song. Su tutto, spicca la voce e la personalità di mr. Chris Bay, ormai leader e marchio di fabbrica indiscusso del gruppo, che negli anni non ha mostrato un minimo di cambiamento nel suo timbro, assestandosi sempre su tonalità pulite (non disdegnando qualche tocco di aggressività), squillanti e precise, giocando spesso sull’interpretazione e sull’espressività vocale. La sezione ritmica di Klaus Sperling (alle pelli) e Samy Saemann al basso è precisa e veloce quanto basta, senza tuttavia riuscire mai ad imporsi particolarmente con degne digressioni musicali. Lars Rettkowitz si dimostra un abile chitarrista senza bisogno di dover strafare sulla sei-corde. Un plauso alla produzione che stavolta ho trovato più potente ed incisiva rispetto al disco precedente, ed una piccola nota di demerito per la copertina: è sicuramente evocativa, ma necessitava probabilmente di più cura nei dettagli e nei contorni per spiccare ancora di più. Insomma, i Freedom Call hanno mostrato di essere tornati più carichi e competitivi che mai, forti di una solidale schiera di fan e di un songrwriting il più delle volte avvincente, genuino, divertente ed in fin dei conti ancora abbastanza scintillante ed ispirato… e questo, alla faccia dei detrattori, non mi pare poco.


Tracklist:

01. Age Of The Phoenix
02. Rockstars
03. Crimson Dawn
04. 66 Warriors
05. Back Into The Land Of Light
06. Sun In The Dark
07. Hero On Video
08. Valley Of Kingdom
09. Killer Gear
10. Rockin’ Radio
11. Terra Liberty
12. Eternity
13. Space Legends
14. Power & Glory


Voto: 7,5/10

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