lunedì 16 maggio 2011

STRATOVARIUS - Elysium


La conferma di una rinascita...

Nome Album: Elysium
Etichetta: EarMusic
Data di uscita: 18 Gennaio 2011
Genere: Power Metal
 
Introduzione:

Inutile sciorinare parole al vento per illustrare la soap-opera che nell’ultimo decennio ha interessato vivamente la casata Stratovarius e lo stacanovista chitarrista finlandese Timo Tolkki (ora avventuratosi nella sua nuova super-band Symfonia): ormai è storia nota a tutti. Basti solo ribadire che dal 2008, anno dell’abbandono del suddetto Tolkki (fino ad allora, leader e songwriter principale della band), gli Stratovarius sono stati protagonisti di un’inattesa rinascita, a livello musicale e di ispirazione. Merito, probabilmente, del giovane rimpiazzo di Tolkki. Furbetti gli Strato: chiamano un bel giovane (classe 1983) pieno di talento alla sei-corde, colmo di influenze moderne nel sound, sperando così di attirare un po’ di più l’attenzione su un nome che, ormai, nonostante lavori di tutto rispetto, stava divenendo piuttosto grottesco e ridondante. Beh, obiettivo centrato. Infatti la scelta di assumere Matias Kupiainen si è rivelata, a mio personale parere, l’arma vincente per poter risollevare una carriera che, da tempo, era troppo assestata dalla dittatura del pur buon Tolkki, legata, quindi, a stilemi musicali ripetuti ormai da troppi anni (va beh…eccezion fatta per il pessimo e fallimentare esperimento di cambiamento di rotta, ovvero l’album omonimo del 2005). Una carriera costellata da una dignità di tutto rispetto fino, appunto, all’ultimo decennio, in cui, a scapito della musica, hanno prevalso i disturbi mentali di Timo, i litigi all’interno della band ed insignificanti variazioni di line-up. Già dall’ascolto di Polaris, del 2009, si è percepita una nuova aria all’interno della band, un’aria fresca e rinnovata nel songrwriting e nell’esecuzione generale. Il nuovo Elysium ne è la giusta conferma. Infatti, con questo album, i nuovi Strato si distaccano sempre di più dallo spettro “tolkkiniano” (comunque ancora un po’ comprensibilmente presente), producendo un lavoro di power metal intenso, fresco ed elaborato. Certo, il lavoro non è esente da pecche e da qualche episodio meno riuscito rispetto ad altri, ma, nel complesso generale, sembra di sentire una band unita, solida e tutt’altro che in via d’estinzione. Anzi, l’ottimo apporto di Matias (a cui è stato dato grande spazio in fase di composizione) sarà, con ogni probabilità, in grado di far risaltare sempre di più le sue doti di compositore e di dare nuova linfa vitale alla band ad ogni nuova uscita. Nulla è scritto ancora, starà a loro credere in se stessi e superarsi di volta in volta. A conti fatti, sembra di capire che l’abbandono di Tolkki abbia fatto solo che bene alla navigata band finnica, e basta dare un attento ascolto ad Elysium per rendersene pienamente conto.  


Track By Track:

Il nuovo ritorno degli Strato viene aperto da un buonissimo mid-tempo dal titolo “Darkest Hours”, aperto da un riff roccioso, di chiara matrice moderna (quasi nu metal giusto per intenderci), che porta il brano a proseguire attraverso strofe e bridge robusti e refrain dalle inaspettate aperture melodiche. Si nota, fin da questa prima traccia, come sia stata data molta importanza agli arrangiamenti di tastiera, molto più variegati rispetto all’ormai vecchio stile tipicamente power della band. Ottimo il breve intervento solista dell’accoppiata vincente Johansson/ Kupiainen. Un altro riff spettacolare, di stampo pseudo-orientaleggiante, apre la più diretta e veloce “Under Flaming Skies”, brano superlativo, di power metal melodico e fresco come pochi, condito da un ottimo refrain e da un’ottima interpretazione da parte di Kotipelto. Decisamente riuscita la parte centrale, che prende le mosse da riff pesanti e rocciosi, spostandosi attraverso degli ottimi arrangiamenti di tastiera, fino ad un assolo chitarristico, non certo memorabile per tecnica o velocità, ma brillante per gusto melodico. La macchina Strato centra un terzo punto a suo favore con la seguente “Infernal Maze”: dopo una breve introduzione lenta ed epica, le danze vengono aperte da un elettronico riff da parte di Jens, sfociando in un brano veloce e carico, esaltante come pochi, su cui spicca uno dei ritornelli migliori dell’album. Troneggiano, ancora una volta, arrangiamenti perfetti e una “solo-battle” tra Jens e Matias nella parte centrale, che altro non fa che dare ulteriore spessore al brano. Un trittico perfetto quindi, che lascia spazio ad un episodio più riflessivo, “Fairness Justified”, un brano lento (attenzione, non ho detto ballad) caratterizzato da un discreto refrain con tanto di coro e da un assolo centrale che, nonostante i buoni intenti, non fa gridare al miracolo. Il brano, di per se, è buono e la sua intensa epicità si lascia ascoltare con una certa attenzione, ma non brilla troppo all’interno della tracklist. La qualità, rispetto al dignitoso terzetto iniziale, si abbassa ancora con la seguente power song “The Game Never Ends”, brano che porta la firma di Johansson. Infatti il riff portante, oltre a dare comunque una sensazione di deja-vu, trascina questa semplice canzone attraverso una strofa ed un refrain poco ispirati e quindi, in definitiva, solo sufficienti. L’ariosità del ritornello può di rado far tornare alla mente i vecchi lavori del combo. Non aiuta l’inconcludente assolo di tastiera, piuttosto pasticciato e a tratti insensato, caratterizzato pure da un registro alquanto fastidioso. Lasciamoci alle spalle questo potenziale filler, e proseguiamo Elysium con il seguente mid-tempo “Lifetime In A Moment”. Diciamo subito che non è un brano che spicca per particolari riff, sonorità o chissà quali geniali trovate. Infatti (dopo un’inutile e prolissa introduzione elettro-corale) il brano è giocato su un roccioso e graffiante riff che si ripete piuttosto frequentemente, sia nelle strofe che nei refrain. Nonostante ciò, scorre tranquillamente, senza troppe forzature, e di sicuro non mancherà di far scuotere inconsapevolmente le teste ai fans. Buono, ma non esaltante, l’intervento solistico centrale. Giunge il momento della vera ballad del disco, “Move The Mountain” (ancora una volta, Johansson pone la firma sul brano). Rispetto alle classiche power-ballad strappalacrime alla Stratovarius, che tanto hanno segnato il loro stile, questo nuovo lento capitolo è caratterizzato da un incedere più sbarazzino e rock-oriented. La strofa si muove tra chitarre acustiche e pianoforte, lasciando spazio ad un ritornello semplicissimo e (bisogna ammetterlo) piuttosto spento, accompagnato da lievi tappeti di tastiera. Il disco, dopo questi episodi caratterizzati da alti e bassi, decolla nuovamente, riprendendo velocità, con la speed-song “Event Horizon”: ottima la strofa e il refrain, indiscutibilmente accattivante, ottimi i piccoli interventi in neo-classical style, ma, soprattutto, esaltante la sezione centrale d’assoli, una delle più ispirate di tutto il disco. Jens e Matias si rincorrono senza sosta, attraverso velocità al fulmicotone e scale perfettamente costruite. A spiccare sono gli arrangiamenti di chitarra, più elaborati e godibili di tante canzoni a firma di Tolkki. Arriviamo all’apice del disco e, azzardando, ad una delle migliori composizioni mai create dagli Stratovarius, la title-track finale “Elysium”: una lunga suite di 18 minuti che da sola varrebbe l’acquisto del disco. Tra progressioni a profusione, stacchi elaborati, accelerazioni power, fantastici interventi solistici e quant’altro, quest’immenso brano tocca il suo punto più paradisiaco (tanto per restare in termini “elisi”) con la parte finale: da un arpeggio acustico si dipana, infatti, una parte estremamente melodica e drammatica, dolcemente ispirata ed arrangiata in modo superlativo. Da tempo, nel power, non si sentiva qualcosa di così celestiale e scritto con cuore e passione (sentitevi l’assolo finale…emozione pura). Ascoltare per credere. Non poteva esservi, sinceramente, modo migliore per concludere quest’opera, ricca di ottimi spunti e, ahimè, anche di altrettante piccole ombre.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Mi sento di approvare pienamente il rinnovato corso intrapreso dalla band e, per quel che conta, già dal discreto Polaris mi sono sempre schierato nei sostenitori del periodo post-Tolkki (pur apprezzando comunque gran parte della discografia del gruppo). Tirando le somme, il songwriting è abbastanza convincente, maturo e riesce a stupire a dovere dove necessario, nonostante alcuni punti non troppo elevati. Per ciò che concerne i singoli musicisti, anche per gli storici Jorg Michael, Timo Kotipelto e Jens Johansson si distingue un ottimo miglioramento e più ispirazione rispetto al passato. Jorg (batteria), finalmente trascende maggiormente dalle solite estenuanti mitragliate di doppia cassa (pur sempre presenti), distinguendosi dal resto in alcuni passaggi più progressivi e maggiormente ricercati. Timo (voce) traina da anni la baracca Stratovarius con la sicurezza e la determinazione della sua inconfondibile voce, da sempre particolarmente calda ed evocativa nelle tonalità medio-basse, più fredda e calcolata in alti ed acuti. Nonostante quindi i piccoli difetti, in questo nuovo Elysium si rende protagonista, ancora una volta, di una prova assolutamente egregia e professionale, priva di grosse sbavature. E che dire di Jens (tastiere), un virtuosista come pochi, che ha sempre impreziosito la musica degli Strato con i suoi tappeti sinfonici e i solos di synth, eseguiti a tutta velocità. Complice l’ottimo songwriting di Matias, anche Jens migliora le proprie doti in Elysium, attraverso assoli che sembrano essere ancora più ricercati, più “gustosi” e più precisi rispetto al passato, soprattutto nelle eterne ed immortali “battaglie” virtuosistiche tra chitarra e tastiera, tanto care al melodic power di stampo nordico. Matias Kupiainen è il vero gioiello dell’album, e non fa rimpiangere le scale neoclassiche di Tolkki. Si percepiscono influenze moderne e progressive (che, diciamocelo, al giorno d’oggi proprio non guastano) nel suo stile, che impreziosiscono molto l’intero album, grazie  a riff più ricercati e graffianti, più originali rispetto al passato, nonché ad assoli davvero memorabili ed invidiabili per gusto e tecnica esecutiva. Il basso di Lauri Porra non risalta troppo e nella maggior parte dei casi si limita al lavoro di accompagnamento. L’ottima produzione, potente e pulita, mette in risalto tutte le capacità strumentali del combo finnico, e l’artwork presenta colori accesi e luminosi, contornanti un ottimo disegno in copertina, più dettagliato e meticoloso (così come quello di Polaris) rispetto alle vecchie grafiche. Invito tutti, detrattori e non, a dare una possibilità a Kotipelto e compagnia, che in questa nuova veste, rinnovata e spogliata di ciò che non funzionava più, avranno certamente modo di stupirvi in un modo e nell’altro. Bentornati. 


Tracklist:

01. Darkest Hours
02. Under Flaming Skies
03. Infernal Maze
04. Fairness Justified
05. The Game Never Ends
06. Lifetime In A Moment
07. Move The Mountain
08. Event Horizon
09. Elysium


Voto: 7,5/10

lunedì 2 maggio 2011

SYMFONIA - In Paradisum


Nuova band, stessa Sinfonia…

Nome Album: In Paradisum
Etichetta: Marquee Records
Data di uscita: 5 Aprile 2011
Genere: Melodic Power Metal

Introduzione:

Signori e signore, torna alla ribalta il nome altisonante di Timo Tolkki, con la sua nuova band. Partiamo con le presentazioni. Timo è stato il fondatore, chitarrista e songwriter principale di un’immensa creatura, caposaldo del power “made in Europe”, chiamata Stratovarius. Già questo dovrebbe sciogliervi ogni dubbio al riguardo di come possa essere questo “In Paradisum”; ma procediamo con ordine. Il personaggio in questione, negli anni a seguire dalla formazione finlandese, si è gettato in progetti piuttosto annacquati e poco riusciti: la carriera solista lo ha portato ad approdare ad un sound fortemente pop-rock ed AOR, tramandando ai posteri solo una manciata di canzoni riuscite. Tra successive collaborazioni a vari progetti musicali e altre discutibili pubblicazioni che non hanno mai visto la pubblicazione (il progetto Saana – The Warriors Of Light), dopo aver lasciato la sua band madre nel 2008 (in un clima di astiosità che durava ormai da tempo), il buon Timo si è lanciato in pubbliche dichiarazioni, nettamente a sfavore dei suoi ex-compagni, ribadendo la nascita di un progetto con i vecchi componenti degli Stratovarius, solo per ripicca nei confronti degli attuali membri, fino ad approdare alla band Revolution Renaissance, sua recente creazione che ha calcato troppo le orme dei vecchi Stratovarius e, quindi, una band piuttosto fallimentare ed ignorata dal grande pubblico. Lasciati i RR, eccolo tornare alla ribalta con una super-band che, visti i componenti che ne prendono parte, lascia da subito ben sperare che le cose stiano evolvendo per il meglio. I Symfonia sono infatti frutto dell’unione di nomi altisonanti della scena power metal europea: Timo Tolkki (chitarra, ex-Stratovarius ed ex-RR), André Matos (voce, ex-Angra ed ex-Shaman), Mikko Härkin (tastiere, ex-Sonata Arctica), Jari Kainulainen (basso, ex-Stratovarius ed ex-Evergrey) e Uli Kusch (batteria, ex-Helloween ed ex-Masterplan). Arruolati questi nuovi compagni, nasce quindi questo “super-gruppo di disoccupati”, ma, alla luce della loro prima uscita discografica, la musica (letteralmente) non cambia. Questo “In Paradisum” delude molto, infatti, perché con un team come questo si poteva fare molto di più, ma Tolkki, invece, preferisce stanziarsi su un format musicale sicuramente “suo”, ma ormai superato e ripetuto per troppo tempo dal songwriter finlandese, sicchè i Symfonia si riducono ad essere una band che semplicemente suona la musica degli Stratovarius dei tempi d’oro, con Andrè Matos alla voce.


Track By Track:

I paragoni con album storici degli Stratovarius, come gli importanti Visions o Destiny, sono impossibili da evitare, fin dalla prima traccia “Fields Of Avalon”. Un riff di chitarra apre un up-tempo dalle strutture classiche e ormai trite e ritrite, rivelando una canzone sicuramente scorrevole e piacevole, con un ritornello arioso e molto melodico, come da tradizione, ma che non dice assolutamente nulla di nuovo. Stessa pasta per la successiva “Come By The Hills”: song un po’ più lenta della precedente, dove, ancora una volta, abbiamo in risalto un buon arrangiamento melodico ed un ritornello semplice ed efficace; una canzone che rimanda direttamente a vecchi brani come “S.O.S” o il famoso singolo “Hunting High And Low”. Fino a qui, è bene dirlo, sono state sparate due delle migliori cartucce dell’album, e questo ci fa già capire che il disco non ha alcuna intenzione di mutare canoni, lungo il suo corso. Uno dei pochi elementi di novità arriva con la seguente “Santiago”, ancora una volta un up-tempo piacevole, caratterizzato da un breve riff chitarristico dai connotati (ecco la piccola novità) più graffianti ed aggressivi rispetto al classico stile Tolkkiniano. Il suddetto riff sfocia poi in un consueto refrain melodico e ben confezionato. Piuttosto insipido il break acustico centrale. La seguente “Alayna” è la prima power ballad del disco: tipico lento strappa-lacrime in pieno Tolkki-style, si dilunga per 6 minuti attraverso chitarre acustiche, una buona strofa ed un refrain fin troppo statico e melodico, accompagnato da un lieve coro di background alla limpida ed acuta voce del singer brasiliano. Ballad, quindi, mediocre e nulla di eccezionale per le nostre orecchie, che apre la strada per il successivo up-tempo “Forevermore”: titolo banalissimo e stra-abusato che cela dietro le sue note gli stessi soliti ingredienti “stratovariusiani”, già a partire dall’introduzione. Riff piuttosto insipidi si susseguono su una base di doppia cassa, con un incedere a metà tra gli Edguy più power-oriented e i Sonata Arctica degli esordi. Il brano risulta, alla fine, privo di mordente, spento e poco carico, e nemmeno le linee vocali riescono a convincere. Il ritornello arioso rimanda alla mente vecchie glorie del periodo roseo degli Strato, come “Against The Wind” o “Anthem For The World”: canzoni tutt’altro che fiacche. Non va meglio nemmeno con la seguente “Pilgrim Road”. Ok, è apprezzabile l’idea della melodia folkeggiante su cui è costruita la canzone stessa, ma le idee vengono mal sviluppate, e ne risulta che alcune buone intuizioni sono affossate da una spiccante e papabile mancanza di arrangiamenti studiati ed adeguati. Pertanto anche questa song, nonostante i connotati “sbarazzini” ed allegri nel bridge e nelle melodie, è di facile ascolto e, a lungo andare, tende ancora una volta a stufare l’ascoltatore. Segue la title-track “In Paradisum”, una lunga suite di nove minuti, il cui impianto corale-sinfonico e la cui struttura portano subito alla mente altre simili song del passato, tra cui l’anthemica “Destiny”, l’immensa “Elements” o l’epica “Infinity”. La suite in questione procede su cavalcate in mid-tempo, alternate a sprazzi di speed-power metal, parti acustiche e quant’altro, fino al possente e lento refrain. Ancor più notevole la seconda parte: dopo una sezione d’assoli di chitarra e tastiera, il brano si trasforma, infatti, in una lenta ballad incredibilmente toccante, in cui Matos gioca su una prestazione incredibile, toccando i picchi vocali più alti del disco. Dopo una parte quindi piuttosto stantia, il disco ritrova spessore con questa bella e piacevole song dalle tinte sinfoniche. Una curiosità: nessuno potrà fare a meno di notare come il riff portante abbia la stessa struttura della nota “Still Waiting” dei Sum 41. Altro passo falso (e punto più basso del disco) con la successiva “Rhapsody In Black”, canzone dalle tinte heavy, dotata di una semplice ma efficace  strofa in clean guitar, che, purtroppo, sfocia in un ritornello decisamente scialbo e privo di spessore ed adrenalina, abbassando, non di poco, la qualità della canzone, assieme ad un assolo di chitarra piuttosto insipido e mal costruito. Gli echi della vecchia “Black Diamond” tornano di soppiatto nell’intro di “I Walk In Neon”, brano che è un continuo auto-plagio dei vecchi brani targati Stratovarius. Si sente un po’ di tutto, da “Destiny” nel chorus a “Eagleheart” nel bridge: per chi negli anni si è cibato di pane e power metal europeo, è impossibile non farci caso. Nonostante questo, la song scorre tranquilla, tra ritornelli ariosi e classiche melodie, senza stufare, risultando abbastanza piacevole nel suo incedere. Arriviamo così al finale di questo controverso album, con una ballad acustica, “Don’t Let Me Go”, accompagnata da un violoncello e da alcuni beat di percussione elettronica nel ritornello. La semplicità della canzone non ci impedisce comunque di apprezzarla per ciò che intende essere, un lento toccante e delicato. Un album per soli appassionati quindi, per chi sente la nostalgia degli Strato degli anni ’90, ma che non sarà in grado di soddisfare nè gli apparati uditivi più progressivi né, tantomeno, chi va cercando qualcosa di nuovo in questo affollato mercato musicale chiamato Heavy Metal.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Eccoci, pronti per bastonare a dovere questa nuova creatura del prolifico Tolkki. Tirando le somme, non è un brutto album, ha alcune buone song in mezzo ad altre poco riuscite, è sufficientemente piacevole e scorre liscio come l’olio, salvo qualche melodia forzata, qualche ritornello non azzeccato e via dicendo. Ma se quest’album funziona è solo merito del fatto che materiale come questo è stato scritto già più di dieci anni fa e, alla luce dei giorni nostri, è impensabile che lo stesso creatore di ottimi lavori come Visions (1997), Destiny (1998) o Infinite (2000), ancora ricalchi il plettro sugli stessi identici riff, sulle stesse strutture, sulle stesse melodie. In altri termini, i suddetti album, all’epoca, erano delle fresche novità per il panorama metal mondiale, ma ora un Visions II rischia solo di far scadere l’attenzione per questa nuova band: superband che avrebbe un sacco di potenzialità, ma non le sfrutta a dovere. Il basso è praticamente inesistente (segue troppo la linea di chitarra), la batteria è statica e troppo priva di fantasia per essere suonata da un batterista come Uli Kusch, che si attiene assiduamente a partiture praticamente uguali a quelle di Jorg Michael (attuale batterista degli Strato), senza un minimo di variazione o di gioco. La tastiera non ha modo di esprimersi al meglio, poiché i solos sono limitati e, per il resto, si attiene ad uno sterile accompagnamento e a semplici melodie. Tolkki non è mai stato un memorabile chitarrista ritmico, tant’è che, anche in questo In Paradisum, i suoi riff sono fin troppo semplici, stantii e tecnicamente limitati, per non parlare dei solos: spesso privi di spessore e gusto (sempre parlando di quest’album, sia chiaro). Matos è il vero fiore all’occhiello di quest’album, deliziando il salvabile con la sua voce, ancora alta ed acuta come ai tempi d’oro degli Angra. Voce tecnicamente ineccepibile, ma, purtroppo, un po’ carente dal punto di vista della potenza e del carisma. Per il resto, la produzione è convincente e pulita (anche se osare un po’ di più, per ottenere un sound più aggressivo e potente, non avrebbe guastato), e l’immagine di copertina ha degli accesi e decisamente gradevoli colori, a suggellare un discreto disegno computerizzato. Con un set di musicisti così le cose potevano essere fatte molto meglio quindi, e ce lo auguriamo per il futuro. Timo doveva senza dubbio dedicare più tempo e cura agli arrangiamenti e alla ricerca di riff e melodie più interessanti e convincenti, invece di limitarsi così scarnamente al solito sufficiente lavoro, giusto per gonfiare ancor di più la sua mediocre discografia post-Stratovarius. Il voto là sotto è volutamente scarso, poiché il fattore originalità in casi come questo non può essere lasciato inosservato, è ora che Timo lo capisca. Riassumendo: album ascoltabile, ma nulla di più. Peccato davvero.


Tracklist:

01. Fields Of Avalon 
02. Come By The Hills
03. Santiago
04. Alayna
05. Forevermore
06. Pilgrim Road
07. In Paradisum
08. Rhapsody In Black
09. I Walk In Neon
10. Don’t Let Me Go


Voto: 6,5/10