martedì 14 dicembre 2010

FREEDOM CALL - Legend Of The Shadowking

Che squillino le trombe!


Nome Album: Legend Of The Shadowking
Etichetta: SPV
Data di uscita: 01 Febbraio 2010
Genere: Power Metal



Introduzione:

“Ti piacciono i Freedom Call?” “Chi, quelli delle trombette?” Ormai le poche persone che ne hanno sentito qualche brano riconoscono in questo modo la band power metal tedesca. Una band nata dalla mente del batterista dei Gamma Ray (Daniel Zimmermann) e dell’amico Chris Bay, che dal lontano 1999 in poi è riuscita a sfornare album validissimi, seppur fortemente basati ed ispirati ad un canonico power metal di stampo epico e decisamente “gioioso”. Caratteristiche che hanno fatto loro conquistare un posto d’onore nel movimento dell’happy metal europeo. Ora, perché le fantomatiche “trombette”? Inutile negare che il loro ricorso al suono delle trombe ha spesso scatenato ilarità da parte dei defenders più accaniti, forse per un loro largo ed imponente utilizzo, soprattutto nei primi tre album. Ma proprio questo suono, a volte al limite del bizzarro, che dà un pesante tocco di pomposa epicità a molti pezzi della band, è diventato un assoluto marchio di fabbrica, targando a fuoco capolavori come i primi 3 album (“Stairway To Fairyland”, “Crystal Empire” e “Eternity”, veri masterpieces dell’“happy-trumpet-power metal”). Bizzarro o meno, la band ha visto crescere a dismisura i fans e i consensi, pur non brillando mai per prestazioni live troppo impegnate o precise, ma sicuramente distensive e coinvolgenti. Il segreto della band consiste nel trovare sempre soluzioni molto azzeccate, veri e propri inni di battaglia dal “tiro” ineccepibile e fottutamente power, aiutati da cori magniloquenti e trionfanti, senza bisogno di ricorrere a divagazioni prog, assoli del secolo, o chissà che altro. Un gruppo puro, indubbiamente, nato per divertimento e per divertire, con tasselli discografici da ascoltare e riascoltare, in giornate tristi, per ritrovare la voglia di vivere. Dopo il buonissimo Circle Of Life (maggiormente orientato verso granitici mid-tempos) e lo scarso Dimensions (dove non v’è traccia delle usuali trombe), tornano nel 2010 con Legend Of The Shadowking, che si presenta, purtroppo, come un altro piccolo passo falso, anche se, in fin dei conti, meno falso del suo diretto predecessore. L’idea lirica è basata su un concept (il quinto della band) che ruota attorno alla storica figura di Re Ludovico II di Bavaria, ma il problema fondamentale è che la musica non fa respirare alcuna aria storica od epica, e questo credo sia un elemento fondamentale nella creazione di un concept storico come questo. L’ispirazione in questi ultimi anni, pertanto, sembra essere venuta meno, rispetto all’epoca delle trombette. Che quindi quest’ultime dessero loro la giusta ispirazione? Se così fosse, non dovremmo esitare a rivolerle indietro nel loro sound:  ingombranti e goliardiche… ma dannatamente Freedom Call!


Track By Track:

Album power + concept storico: cosa meglio di questo binomio può prestarsi ad una bella introduzione sinfonica superbamente arrangiata? Ma qui, di un intro non se ne vede neanche l’ombra: l’attacco diretto è aperto da un incisivo coro su “Out Of The Ruins”, un up-tempo tipicamente power metal. Velocissima, la traccia si staglia su ritmiche battagliere e melodie, tutto sommato, convincenti, che sfociano nell’epico refrain da cantare (come al solito) a squarciagola. Pur essendo priva di tastiere e trombe (ma pregna di cori), rappresenta un’ottima opener, assolutamente convincente, dove lo spirito della band sembra essere rinato. La successiva “Thunder God” cambia subito registro: trattasi di una song più lenta dall’impostazione quasi hard rock, che di power ha davvero poco, se non il refrain, corale e abbastanza convincente. La canzone è in sé piuttosto banale nella struttura, e non lascia segni particolari, ma scorre facilmente anche per la sua breve durata. L’annesso videoclip è, d’altro canto, una cosa davvero orribile, punto. Le cose non vanno meglio con la seguente cavalcata “Tears Of Babylon”, dove compaiono le uniche trombe (rieccole!) dell’album. Anche per questo, è il brano che più richiama il passato, ma lo fa stancamente, con un ritornello ed un incedere generale che, francamente, più scontato di così non potrebbe essere. Per fortuna ci pensa “Merlin – Legend Of The Past” a risollevare l’attenzione. Esplode con un coro oscuro, prosegue in un up-tempo dalle soluzioni musicali azzeccate, per poi sfociare in un refrain epico ed evocativo. Quindi, un ottimo brano (il migliore dell’album, a mio parere) che, guarda caso, è isolato dalla storia del concept (pur essendo, paradossalmente, un concentrato d’atmosfera non indifferente). Un coro asciutto lancia nelle orecchie la successiva “Resurrection Day”, altro up-tempo che alterna delle serratissime strofe, piuttosto scarne e scontate, ad un irresistibile ritornello dai toni happy e molto riuscito, in cui spiccano le consuete doti del drummer Dan, sempre velocissimo, tecnico e preciso. Da notare l’ispirato e veloce assolo di chitarra centrale. Il trittico seguente è rappresentato da una certa atmosfera oscura e plumbea, abbastanza inusuale per la band, rappresentando un discreto esperimento (già iniziato sul precedente Dimensions con The Blackened Sun): si parte con l’introduzione acustica di “Under The Spell Of The Moon”, mid-tempo dall’impianto musicale al limite del gothic, con un Chris Bay che, nel buon refrain accompagnato da drammatici cori e melodie oscure, si cimenta in partiture stranamente baritonali (inusuali per il suo timbro e la sua estensione generalmente elevata) ricordando di striscio il singer degli HIM Ville Valo. In definitiva è un brano piacevole, ma sicuramente non è nulla di sorprendente a livello di songwriting generale. Un po’ meglio la seguente “Dark Obsession”, impreziosita da un’introduzione sinfonica e da inquietanti melodie corali e pianistiche. Anche se rallenta nel buon ritornello, l’incedere del brano è decisamente più granitico e stuzzicante rispetto al brano precedente. Segue “The Darkness”, un titolo abbastanza banale per una buona canzone. Dopo una partenza piuttosto lenta ed oscura, la song sfocia in un mid-tempo dove troviamo delle strofe aggressive e di ottima fattura, impreziosite da ottimi inserti vocali, bridge e ritornello che assumono dei toni quasi gothic, e alcuni inserti elettronici in vicinanza del finale. Tutto sommato quindi si tratta di tre canzoni differenti rispetto al classico stile della band, e l’esperimento risulta riuscito più che degnamente. Si torna a pestare sull’acceleratore con la seguente “Remember!”, un titolo che è tutto un programma: come se i Freedom Call volessero farci “ricordare” qual è il loro genere musicale, attaccano con un coro che sfocia in un up-tempo di stampo classicamente power. Tuttavia la canzone non riesce a brillare, e perde forza soprattutto a causa di strofe banali senza un minimo di innovazione e di un refrain trascurabile e assai poco coinvolgente. Il successivo interludio “Ludwig II” non aggiunge nulla di rilevante all’economia del disco, trattandosi di un breve brano pseudo-sinfonico recitato in lingua madre, preludio alla successiva “The Shadowking”: brano dal taglio piuttosto “sbarazzino” e ritmato, che scorre via senza troppi impedimenti attraverso evocative strofe ed un buon ritornello. La seguente ballad pianistica “Merlin – Requiem”, riprende, come si evince dal titolo, il ritornello della precedente “Merlin – Legend Of The Past” in chiave lenta e sinfonica. La sua breve durata non permette di apprezzarne troppo i contenuti e sarebbe risultata un brano più vincente se fosse stata sviluppata maggiormente. Ma, al di là di questo, risulta comunque un piacevole intermezzo. “Kingdom Of Madness” sembra essere una di quelle song fatte apposta per i live: lo dimostrano un incedere di stampo decisamente hard rock-stradaiolo, un buon ritornello azzeccatissimo per i concerti, ed un (quasi imbarazzante) intermezzo, dove gli strumenti proseguono su una base stazionaria e il ritornello viene ripetuto varie volte, come capita spesso in concerti live dominati da un pubblico sovrano. Chiude l’album una poco degna di nota “A Perfect Day”, che, dopo una buona introduzione dal sapore folk rock, si perde in strofe rockeggianti e in un ritornello eccessivamente allegro e mieloso. Si chiude così, in modo piuttosto inconcludente, la leggenda del re delle ombre, assieme a questo album altalenante che ci dimostra dei Freedom Call in discreta forma, spesso carenti nel lato del songwriting. Questa volta quindi, cari Dan Zimmermann & soci,  niente squilli di tromba.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

La band tedesca non si è mai elevata troppo rispetto agli standard imposti da questo genere, a livello puramente tecnico. Anzi, se proprio dobbiamo essere sinceri, da questo punto di vista, non è mai spiccata, poiché i suoi punti di forza sono decisamente altri. Ma, nonostante questo, possiamo citare il frontman Chris Bay, dal timbro vocale piuttosto morbido e freddo, tutt’altro che aggressivo, ma dotato di un’ottima tecnica vocale e di un’estensione notevole (come dimostra in questo album), oltre che di un certo camaleontismo nel saper interpretare brani di atmosfere differenti. Un singer sicuramente adatto per la proposta del quartetto. Inutile ribadire la bravura del drummer Dan Zimmermann (anche se in tempi recentissimi ha lasciato la band), che i più conoscono soprattutto per il suo operato nei ben più importanti Gamma Ray. C’è da dire però che, nei Freedom Call, il suddetto batterista non è mai riuscito ad esprimere al meglio tutte le sue potenzialità. Per il resto, chitarra e basso svolgono un preciso lavoro, anche se piuttosto standard, senza riuscire a spiccare. Oltre alla discutibile bontà del songwriting, inoltre, mi sento di segnalare che anche la produzione non brilla, tendendo spesso ad oscurare le chitarre (già di per se caratterizzate da un suono scarno) in favore della voce di Bay, facendo perdere impatto e potenza ai brani. Per quanto riguarda la copertina, si tratta di una bellissima immagine che ritrae una sorta di statua di Re Ludovico II, con un mare baciato dalla luna sullo sfondo. I colori sono freddi ed evocativi, perfettamente calzanti con la storia narrata. Quindi eccoci qui, con queste 14 canzoni, fin troppo brevi e spesso mal sviluppate, ma decisamente dirette, che non riescono a farci respirare la giusta atmosfera epica che un concept come questo meriterebbe. Peccato. Intanto cerchiamo di godere dei pochi brani davvero notevoli all’interno di questo album, mentre attendiamo con impazienza che anche i FC abbiano nostalgia del loro stesso passato e tornino a stupirci con le tanto amate-odiate trombette.


Tracklist:

01. Out Of The Ruins
02. Thunder God
03. Tears Of Babylon
04. Merlin – Legend Of The Past
05. Resurrection Day
06. Under The Spell Of The Moon
07. Dark Obsession
08. The Darkness
09. Remember!
10. Ludwig II – Prologue
11. The Shadowking
12. Merlin – Requiem
13. Kingdom Of Madness
14. A Perfect Day


Voto: 6,5/10

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