giovedì 4 agosto 2011

RHAPSODY OF FIRE - From Chaos To Eternity

La conclusione di un fantasy musical durato 15 anni…

Nome Album: From Chaos To Eternity
Etichetta: Nuclear Blast
Data di uscita: 17 Giugno 2011
Genere: Symphonic Power Metal

Introduzione:

Era il 1997 quando l’Italia ed il mondo metal conobbero, per la prima volta, i Rhapsody Of Fire: da allora, fu un successo continuo ed in costante crescita, in termini di notorietà e di maturità stilistica. Non v’è certo necessità di parlare molto a lungo di questa incredibile macchina musicale, che negli anni ha creato uno stile personalissimo, miscelando metal melodico ed epico con atmosfere cinematografiche, degne dei migliori compositori sulle scene. Fu proprio in quell’anno che i triestini aprirono le danze di una saga, di stampo fantasy, che si conclude oggi, con questo From Chaos To Eternity. 8 album e 2 EP sono serviti per narrare le gesta eroiche dei protagonisti dei due immensi capitoli “Emerald Sword Saga” (1997 – 2002) e “Dark Secret Saga” (2004 – 2011), costituenti una lunga storia, pregna di atmosfere e colpi di scena, scaturita dalla mente prolifica del chitarrista Luca Turilli. Alla luce di quanto fatto dalla band triestina (anche se di Trieste sono solo Luca ed Alex), posso affermare che non c’era modo migliore per concludere la saga come questo FCTE. La storia recente ha visto la band costretta ad uno stop forzato, durato 4 anni (2006-2010), per cause legali con la Magic Music Circle, etichetta di Joey De Maio (bassista dei Manowar), per poi assistere ad un roboante ritorno sulle scene con un capolavoro di power-speed metal come The Frozen Tears Of Angels, con tanto di tour mondiale di supporto (e prestazione divina in quel di Bologna), seguito a ruota dall’immensa creatura cinematografica The Cold Embrace Of Fear (EP). Nemmeno 8 mesi di tempo dopo quest’ultima uscita e riecco la band nuovamente presente sugli scaffali dei negozi. Musicalmente, FCTE prosegue il discorso del full-lenght precedente, tralasciando, in parte, i sinuosi super-arrangiamenti orchestrali dell’ultimo EP, ma arricchendo ancora di più il songwriting con numerosi elementi di maggior personalità e ricercatezza, deragliando così, in parte, dai sicuri binari su cui i ROF hanno costruito la loro passata carriera. Quella è storia: Luca e Alex guardano al futuro, e sembra che la loro vena creativa stenti ad esaurirsi, nonostante 15 anni siano ormai passati dal mitico Legendary Tales. Ancora una volta, quindi, ci troviamo di fronte ad un lavoro estremamente maturo, di sano power-speed con inserti progressivi ed immancabilmente melodico-neoclassici, come da miglior tradizione. Un lavoro corposo e più ricercato, necessitante di vari ripetuti ascolti prima di renderci conto che, forse, abbiamo tra le mani un album ancor più riuscito del come-back di un anno fa. A fans ed appassionati l’ardua sentenza. Si astengano, invece, coloro che fin da principio non hanno mai sopportato i Rhapsody Of Fire…ma non sanno cosa si perdono.


Track By Track:

La consueta introduzione di questo ultimo capitolo della saga, “Ad Infinitum” è già spiazzante: non troviamo, infatti, partiture prettamente ed esclusivamente sinfoniche, ma ci pensa una chitarra distorta e funambolica ad introdurre la voce dell’immancabile narratore Christopher Lee (in quest’album, all’ultima sua apparizione con i ROF), supportato dalle classiche melodie sinfoniche, oscure ed atmosferiche, della band. Preludio perfetto per la title-track d’apertura, “From Chaos To Eternity”. Dotata di un sound incisivo e diretto, la canzone si snoda tra strofe sussurrate, ripartenze in blast-beats, melodie su melodie, voci su voci, che esplodono in un ottimo refrain, in classico stile rhapsodiano, in cui l’atmosfera epica e trionfale è assicurata. Il brano risulta molto vario, fresco e vincente nel saper proporre nuovi elementi in uno schema musicale già spesso usato dalla band di Trieste. La ripresa del Quarto Movimento di L.V. Beethoven, in chiave elettrica e distorta, introduce alla gemma preziosa di questo nuovo album. Sto parlando di “Tempesta di Fuoco”, prima speed-song in assoluto, nella discografia dei ROF, ad essere cantata completamente in lingua italiana. Non aspettatevi dolci melodie poetiche, come quelle delle immortali “Lamento Eroico” e “Il Canto del Vento”, poiché siamo dinnanzi ad un brano di puro stampo symphonic power. L’atmosfera incandescente si dipana durante il corso della canzone, aiutata da un testo curato dal sapore arcaico, fino all’affascinante ritornello da cantare e ricantare: forse uno dei più riusciti all’interno della discografia del combo. Da manuale il melodico assolo di Turilli. Il motivetto classico di Beethoven ripetuto sul finale ci lascia a “Ghosts Of Forgotten Worlds”: un brano atipico e molto particolare. La stralunata introduzione di chitarra lascia spazio a strofe dalle ritmiche tipicamente heavy metal, effettivamente inusuali per il chitarrismo di Luca. Al di là di questo, è forse il brano più difficilmente apprezzabile ad un primo acchito, pertanto solo dopo vari ascolti riuscirete ad apprezzarne le sfumature, fatte di gelide strofe in chitarra acustica, stop’n’go apparentemente forzati, ottimi scambi solisti tra Hess e Staropoli, ed un buon ritornello corale tipicamente rhapsodiano. Un brano, di per sé, affascinante ma meno riuscito delle restanti tappe del disco. Torna l’eco di “Lamento Eroico” con “Anima Perduta”, ballad dal sapore barocco-medievaleggiante, cantata in italiano. Ancora una volta, il testo poetico e ricercato fa respirare aria magica durante l’ascolto. Il brano ha dalla sua parte ottime melodie, su un tappeto creato da pianoforte, clavicembalo e flauti, acquistando ancor più spessore nel ricercatissimo ritornello che, in mezzo a particolari scale musicali, esplode in una decisa atmosfera sinfonico-operistica. Con un Fabio Lione dante prova, ancora una volta, delle sue grandi capacità tenorili dietro al microfono, i Rhapsody Of Fire danno luce ad un vero gioiello, riuscitissimo ed affascinante. Sicuramente ricorderete “Reign Of Terror”, la sorpresa di TFTOA che fece entrare la band in un contesto più estremo, grazie a blast-beats di batteria e agli scream di Lione. Ebbene, è il turno della sua gemella, “Aeons Of Raging Darkness”, un brano veloce ed aggressivo, introdotto dal buon lavoro di basso di Guers. Come la sua gemella, anche in questa song abbiamo numerosi blast-beats e un refrain cantato in scream dal singer Fabio. Ne vengono mantenuti l’aggressività e l’impatto sonico, ma questa nuova arrivata possiede maggiori variazioni e condimenti in salsa progressive, con inserti tenorili in latino e succulenti riff geniali, partoriti dalle due grandi menti di Turilli e Staropoli (autore anche di un bellissimo solo di tastiera). Nonostante sia un ottimo brano ricco di sfumature, ad un primo ascolto la richiestissima “Reign Of Terror” resta un gradino sopra alla sua erede. Tastierone anni ’80 e melodie quasi pop d’annata: uno scherzo? No, è semplicemente l’intro di “I Belong To The Stars”, altra novità entrata in casa Rhapsody. Trattasi di un mid-tempo molto particolare (lontano dal “manowarismo” di Triumph Or Agony), dove in primis spiccano i maestosi cori del riff principale, una strofa dolce su pianoforte, ancora ottime prove soliste tra Hess e Staropoli, ed un ritornello ruffiano ed estremamente melodico. Il brano, per sonorità e struttura, risulta essere più vicino alle recenti produzioni del Turilli solista (The Infinite Wonders Of Creation) piuttosto che ad un classico album rhapsodiano. Pertanto, se ne trae un risultato molto interessante e riuscito, donando freschezza in più all’album. Prima del gran finale, è il momento della hit del disco, la power-speed song “Tornado”, un'altra preziosa chicca da annoverare tra i brani più splendenti della band. Elevato tasso tecnico, strofe e riff spietati, bridge melodico ed un maestoso ritornello nel classico stile della band, carico di pathos epico e cinematografico a cui è impossibile resistere. Questi sono gli ingredienti di quest’altra meraviglia tradotta in musica. Da segnalare un simpatico ed inusuale assolo di chitarra, costruito su consueti sweep e scale neoclassiche, tanto care al buon Luca. Ci siamo, arriviamo così alla fine di quest’immensa saga che ha accompagnato i fans per tutti questi anni. Il modo migliore che Luca ed Alex conoscono per concludere un album, è piazzare una lunga suite all’ultimo posto: non si risparmiano, e regalano al pubblico “Heroes Of The Waterfall’s Kingdom”, immensa epopea di 19 minuti di durata, suddivisa in 5 parti, dove i nodi della storia vengono al pettine e tutto si conclude. Di difficile assimilazione ad un primo impatto, la apprezzerete con più ascolti. Musicalmente, è inevitabile notare come questa nuova suite non regga il confronto con “Gargoyles, Angels Of Darkness”, inarrivabile picco artistico raggiunto dalla band nel 2002, a conclusione della Emerald Sword Saga, ma è comunque ricca di elevati ed altrettanto memorabili spunti. Dopo una prima chicca folkeggiante e cantata in italiano, la suite si lancia in ritornelli ancora una volta ripresi dal genio di Beethoven, grandi arrangiamenti orchestrali, atmosfere oscure, folli fughe chitarristiche, narrazioni imponenti (forse anche eccessive), fino al gran finale: maestosi cori apocalittici e sinfonie cinematografiche supportano narrazioni e potenti riff di chitarra fino alla conclusiva narrazione di Mr. Lee, con le sue ultime parole a servizio dei ROF, su lievi e delicati terreni sinfonici che concludono degnamente la saga. Nell’edizione limitata è presente una conclusiva cover dei sempreverdi Iron Maiden: “Flash Of The Blade”, brano amato da Turilli e riproposto ottimamente con tanto di arrangiamenti di tastiera ed un grandissimo Lione nel ritornello. Una piccola chicca, a conclusione di un’opera musicale durata 15 anni d’onorata carriera.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Alla fine del viaggio musicale intrapreso con il combo italiano, si potrebbe azzardare che From Chaos To Eternity è, probabilmente, il miglior album partorito dai ROF nel corso del terzo millennio. Nel complesso, il nuovo album suona molto vario ed incredibilmente fresco. Già lo era stato il predecessore TFTOA, ma qui risiedono un’indescrivibile armonia ed un equilibrio maggiore difficili da descrivere e che solo l’ascolto potrà confermare. I ragazzi, come abbiamo avuto modo di notare anche in sede live, ci sanno fare. In primis, il guitar hero Luca Turilli sa impreziosire il lavoro attraverso una minuziosa ricerca melodica e con un sempre più cospicuo bagaglio tecnico, che lo porta ad adottare diverse soluzioni chitarristiche, oltre ai soliti, immancabili, assoli e fraseggi in sweep-picking. Anche l’apporto chitarristico del nuovo entrato Tom Hess è valutato positivamente, anche se contiamo possa arricchire maggiormente il sound della band nei lavori futuri. Dinamici, precisi e funambolici i lavori di Patrice Guers al basso (essenziale e molto vario il suo apporto) e del superbo Alex Holzwarth dietro le pelli, capace di infilarsi in impervie matrici ritmiche, spesso fatte di doppia cassa al fulmicotone e passaggi più ricercati, tecnicamente impeccabili. E’ nota anche ai sassi ormai la maestria di un professionista come Alex Staropoli (tastiere), esecutore di ottime prove solistiche e pianistiche ed autore dei consueti arrangiamenti sinfonico-orchestrali che, come da copione, rasentano la perfezione. Infine, una grande menzione d’onore va rinnovata a Fabio Lione, singer tenorile sempre più convincente e professionale, ormai abbastanza versatile da poter addentrarsi, sempre più spesso, anche nello screaming-black La produzione è incisiva ed accattivante. Infatti, in questo album come nel precedente, il combo ha volutamente dato più spazio alle chitarre, sia nel songwriting sia nel mixing, rendendo il lavoro meno sinfonico e più diretto. Ciò nonostante, nulla viene lasciato al caso: anche i passaggi orchestrali sono disegnati con spettacolare perizia. Sulla falsariga delle due precedenti (dello stesso disegnatore), anche l’immagine della cover rende il giusto effetto e fa la sua impeccabile figura, catapultandoci nell’atmosfera fantasy della saga, senza parlare delle curatissime grafiche del booklet (con sorpresa nelle ultime pagine) e della stupenda edizione cartonata in digipack (arrivano i soldi da zia Nuclear). Songwriting perfetto e vario, esecuzioni a regola d'arte, atmosfere emozionanti e maestose, vibrazioni adrenaliniche, squisite melodie classicheggianti: tutto questo è From Chaos To Eternity e tutto questo sono i Rhapsody Of Fire del 2011, autori di una nuova e succosa prova, eccellente sotto quasi tutti i punti di vista. Resta l’inevitabile fatidica domanda: finita l’era delle saghe fantasy, cosa ci proporranno ora i triestini? Non abbiamo dubbi che Luca ed Alex sapranno sorprenderci, ancora una volta.


Tracklist:

01. Ad Infinitum
02. From Chaos To Eternity
03. Tempesta di Fuoco
04. Ghosts Of Forgotten Worlds
05. Anima Perduta
06. Aeons Of Raging Darkness
07. I Belong To The Stars
08. Tornado
09. Heroes Of The Waterfall’s Kingdom
10. Flash Of The Blade (Bonus Track)


Voto: 9/10

HELL - Human Remains

Inaspettati ritorni dagl’Inferi…

Nome Album: Human Remains
Etichetta: Nuclear Blast
Data di uscita: 13 Maggio 2011
Genere: Heavy Metal

Introduzione:

La storia di questa band ha dell’incredibile. La sua breve biografia è proprio ciò che mi ha spinto a procurare questo album e ad ascoltarne i suoi contenuti. In breve, gli Hell sono una formazione inglese nata nel 1982, i cui show, troppo occulti ed anti-religiosi per l’epoca, impedirono loro una giusta visibilità nella scena. Inoltre la sfortuna si precipitò su di loro , facendo fallire l’etichetta con cui erano riusciti ad ottenere un agognato contratto, una settimana prima dell’uscita del primo album. Come se non fosse abbastanza, nel 1987, Dave Halliday, primo singer-guitarist della band, si suicidò per problemi, probabilmente, economici. Fu così che il progetto Hell venne sotterrato dalle sabbie del tempo. 2011: il famoso produttore Andy Sneap, da sempre fan della band, li incita a reincidere e pubblicare, finalmente, quell’album che mai vide la luce negli eighties. E’ così che gli Hell risorgono dall’abisso, assoldando l’ex-chitarrista David Bower alla voce e lo stesso Andy Sneap alla seconda chitarra. Quel materiale, inciso su demo quasi 30 anni fa, torna a risplendere, forte delle metodologie di produzione moderne (suono potente, pomposo e limpido), rappresentando così, a tutti gli effetti, un curioso ed ambito debutto discografico. La band londinese ci propone un classicheggiante heavy metal/hard rock, chiaramente influenzato dalla NWOBHM di inizio anni ’80, coronato da testi oscuri e malvagi e da un’atmosfera concepita per essere teatrale, plumbea e demoniaca come poche. D’altro canto, accanto alla musica, restano intatte l’iconografia e l’immagine infernale della band, coadiuvata anche dall’interpretazione mimica e vocale di David, frontman con una lunga carriera di attore alle spalle (il videoclip di “On Earth As It Is In Hell” ne è fonte di prova). Questo aspetto rappresenta un valore aggiunto al sound dei londinesi, caratterizzandolo enormemente: prendete la teatralità vocale di gente come King Diamond o Alice Cooper, unitela alla potenza musicale di Sabbat, Motorhead o Judas Priest, ed avrete un’idea di come suonino gli Hell.  Nonostante sciorinino al popolo metallico del materiale ormai datato, l’impressione è comunque quella di trovarsi dinnanzi una cascata di metallo che suona ancora fresca, maligna e succosa come un tempo. Questo HR non è certo esente da difetti, spesso riscontrabili in un songwriting a volte un po’ dispersivo, ma diamo atto agli Hell della loro volontà di voler finalmente ritornare a calcare i palchi nel mondo della musica metal e, probabilmente, ne capiremo davvero l’immenso valore con un (auspicabile) futuro secondo album di inediti, in cui i nostri si dovranno cimentare nella composizione al passo con i tempi. Non resta che gustarci uno dei come-back più inaspettati degli ultimi anni. E’ la volta degli Hell: tornati qui, sulla Terra, per noi tutti, direttamente dall’Inferno.


Track By Track:

Human Remains apre le danze con una classica introduzione dal minutaggio limitato e dagli intenti pseudo-sinfonici, tale “Overture Themes From Deathsquad”, che ben rappresenta il contenuto atmosferico che sentiremo traccia dopo traccia, durante l’ascolto dell’album. La prima botta, nonché singolo con annesso videoclip, è “On Earth As It Is In Hell”, dove ben inquadriamo tutte le caratteristiche peculiari e fondamentali degli Hell: in primis, la teatralità vocale del singer David, dotato di una voce snodabile e versatile, destreggiandosi tra alcune partiture alte ed ipnotiche, alcune schizoidi e gracchianti ed altre più cupe e maligne. I riff ed i refrain che si susseguono non rientrano certo nella categoria “novità assoluta”, ma sono accattivanti ed accesi al punto giusto. A song conclusa, si dipana un intro con una riuscitissima ed inquietante atmosfera “Dantesca”, resa tale da tappeti di tastiera e campionamenti di zoccoli ed anime dannate, per lasciare subito spazio alla speedy “Plague And Fyre”, il cui testo racconta la discesa sulla Terra dell’angelo caduto, nel contesto del grande incendio che devastò Londra nel (guarda caso) 1666. Il brano, uno dei migliori del platter, gode di un ottimo ed inarrestabile ritornello su doppia cassa, di riffettoni davvero gradevoli, esenti dal peso del tempo, e di un assolo semplice ma efficace nel contesto. Inquietanti voci bianche conclusive, lasciano spazio a “The Oppressors” (ripresa dal repertorio della prima band del chitarrista Kevin), un mid-tempo in cui è ben evidente l’impronta heavy-blues dei maestri Black Sabbath. Il brano è dotato di un atmosfera ipnotica e sofferta, con tanto di strani cambi di tempo e di registro, pertanto sono necessari alcuni ascolti per cercare di apprezzarlo. Infatti, il songwriting appare poco fluido e poco scorrevole, rischiando di lasciare poche sensazioni nell’ascoltatore. Direttamente collegati a questa song sono gli otto minuti della seguente “Blasphemy And The Master”, introdotta da un ritmo lento, opprimente, e da un sofferente monologo del singer. Terminata l’agonia, si dipanano degli ottimi riff di matrice “priesteniana”, veloci e ben strutturati, con un David Bower sempre particolarmente impegnato nell’interpretazione più che nel canto di una vera e propria linea vocale. Nonostante si palesi la mancanza di un vero e proprio ritornello (caratteristica non insolita nel sound della band), la struttura appare più scorrevole rispetto al brano precedente, rendendolo più piacevole e graffiante. Gli Hell tornano a pigiare l’acceleratore con la battagliera “Let The Battle Commence”, esempio di puro, veloce ed incontaminato heavy metal anni ’80 senza fronzoli, comunque perfettamente integrato nel contesto dei tempi odierni. Stupisce molto asserire che della musica composta così tanti anni fa, possa ancora risultare fresca ed accattivante, degna dei tanti (ottimi) grandi nomi della scena heavy odierna. Il brano più lungo di HR è il successivo “The Devil’s Deadly Weapon”, una sorta di suite di 10 minuti caratterizzata (dopo un’atmosferica intro narrata) da un mid-tempo sorretto da ottimi riff di stampo hard rock ottantiano e dall’ottima e maligna interpretazione del singer. Il brano regge bene, ma l’eccessiva prolissità del minutaggio e la struttura un po’ troppo ripetuta fanno intravedere qualche vago sintomo di noia. Evitando qualche breve passaggio a vuoto ed una maggiore compattezza, la song avrebbe certamente acquistato un valore più elevato. Ottimo l’assolo centrale. Varie urla e risate demoniache aprono l’heavy metal incontaminato di “The Quest”, altro highlight senz’altro dotato di una struttura maggiormente diretta rispetto alla maggioranza delle canzoni del platter. Nella strofa primeggiano varie influenze d’annata, Judas Priest su tutti, mentre il refrain è invece maggiormente orientato verso sonorità più catchy ed orecchiabili, di stampo glam metal anni ’80. Molto godibili i vari riff, gli intrecci chitarristici ed i solos. E’ il tempo di un’altra song dal minutaggio elevato (7 minuti, anche se in realtà il primo minuto e mezzo è dedicato ad un sinistro  dialogo tra streghe, in tema con le lyrics del brano): “Macbeth”. In sostanza, è un intreccio di riff improntati sull’hard rock demoniaco del quintetto. Come spesso abbiamo visto durante il corso dell’album, anche in questo brano risultano presenti vari cambi di tempo e stacchi particolari, che rendono la struttura confusa e mutevole (ancora una volta, dov’è il ritornello?). Il brano scorre senza troppe forzature, ma non è altro che un insieme di riff mal amalgamati. Meglio la seguente “Save Us From Those Who Would Save Us”: un’altra lunga intro ci introduce ad un brano veloce ed aggressivo, degno del miglior heavy in circolazione, con un David sugli scudi, sempre incalzante ed accattivante. Il ritornello è di chiaro stampo power-heavy, in perfetto stile Hammerfall. Convincenti la prova solistica di Kevin ed il batterismo semplice ma ficcante di Tim. L’epilogo dell’album è la lunga e lugubre “No Martyr’s Cage”, introdotta da un ritmo doomish, lento ed incalzante. Lo sviluppo prevede vari cambi di velocità lungo l’incedere della song, con stacchi improvvisi di doppia cassa, ma, ancora una volta, rimane poco di realmente impressionante ed i riff perdono mordente col proseguire dell’ascolto. Una chitarra assassina alla Pantera (groove assicurato) ed una lieve chitarra acustica chiudono questo album sincero e riuscito, in attesa di un bramato roseo futuro per la band di Londra.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Spesso le reunion, specie dopo molti anni, sanno quasi di patetico e di “siamo tornati ed abbiamo bisogno di soldi”. Per gli Hell qui presenti, ciò non accade. Human Remains rappresenta, forse, un sogno celato da troppo tempo, che, finalmente, ha avuto i mezzi per venire alla luce e risorgere tra le fiamme. Il punto di forza di quest’album e, quindi, della band stessa è il saper coniugare la cattiveria dell’heavy con la teatralità visionaria del loro mondo demoniaco. In questo set di gironi spiccano, come già detto prima, la voce di David Bower, che, condita di movenze assolutamente non lasciate al caso, caratterizza un frontman davvero unico e peculiare. Insomma, la voce perfetta per una band come gli Hell. Le due asce impreziosiscono il lavoro con buona perizia tecnica, a suon di riff vorticosi (Andy Sneap) ed assoli (Kevin Bower, che si diletta anche nei vari sprazzi di tastiera) spesso ben fatti e altre volte più trascurabili. Nulla di tecnicamente inaccessibile, sia chiaro, ma per questo tipo di sonorità sappiamo bene che la tecnica non è la priorità. La sezione ritmica è fornita invece dal carisma di Tony Speakman al quattro corde e dalla buona capacità esecutiva di Tim Bowler dietro le pelli. Tony segue spesso le linee di chitarra senza primeggiare, ma in alcuni frangenti si distingue per qualche passaggio più azzardato, mentre Tim guida la carovana infernale con professionalità e precisione, senza offuscare il buon operato dei compagni. Insomma, si tratta solamente di genuino e sano Heavy Metal, non serve aggiungere altro. Non c’è death o black che tenga: l’heavy è la musica che meglio rappresenta il maligno, la musica più cattiva che l’uomo abbia mai concepito. Si possono usare vagonate di growl vocals o di blast-beats, ma basta una “Painkiller” per redimersi e confermare tutto ciò. Gli Hell lo sanno e attraverso le loro note filtrano sibilante malvagità. Lo fanno, però, in modo velato e, se vogliamo, “Dantesco”, senza esagerare e senza mettersi troppo in mostra con inutili estremismi scenici, spesso tipici dei gruppi black o death più intransigenti (le scenografie dei Gorgoroth la dicono lunga a proposito). Per restare in tema, l’immagine della cover è davvero ben fatta, con molti particolari che richiamano l’iconografia infernale: l’angelo caduto, la mela morsa, il serpente, i tre “6”, l’incendio di Londra del 1666. Tirando le somme, HR, tra molti ottimi brani ed altri meno riusciti, è comunque un album piacevole, coraggioso e, pertanto, meritevole d’ascolto. Per tornare a gustarsi un po’ di metallo d’annata, privo di modernismi plasticosi (nonostante la graffiante produzione) in mezzo all’odierno mare della mediocrità, gli Hell sono la barca giusta da prendere…sempre che Caronte non vi trascini giù con loro. 


Tracklist:

01. Overture Themes From Deathsquad
02. On Earth As It Is In Hell
03. Plague And Fyre
04. The Oppressors
05. Blasphemy And The Master
06. Let Battle Commence
07. The Devil’s Deadly Weapon
08. The Quest
09. Macbeth
10. Save Us From Those Who Would Save Us
11. No Martyr's Cage


Voto: 7,5/10