martedì 28 giugno 2011

ALESTORM - Back Through Time


Jolly Roger a mezz’asta…

Nome Album: Back Through Time
Etichetta: Napalm Records
Data di uscita: 3 Giugno 2011
Genere: Pirate Folk Metal

Introduzione:

Navigatori di tutti i mari, eccovi di nuovo tornare la band più scanzonata di tutta la Scozia, gli Alestorm! Nell’ambiente folk sono ormai parecchio conosciuti, amati per le loro melodie allegre e birraiole e spesso detrattati, d’altro canto, per i loro testi interamente basati sulle vicissitudini piratesche di certa letteratura inerente. Per molti, invece, restano una band poco conosciuta e quindi è doveroso introdurre qualche nozione in più. L’esordio col botto è del 2008, a titolo Captain Morgan’s Revenge: già da titolo, cover e contesto si intuisce la direzione musicale. Questi 4 giovani fanno del Pirate Metal la loro indole, inserendo nella loro proposta un power metal influenzato dal folk, con tanto di pompose ed anthemiche aperture sinfoniche. Le idee espresse nel primo album vengono riprese, tra intuizioni geniali ed altre già stancamente ripetute, con il successivo Black Sails At Midnight (2009), decisamente più curato ed ancora più sinfonico-bombastico rispetto al precedente. Nonostante siano due discreti album, da prendere alla leggera e senza troppa serietà, già si può capire che gli Alestorm ormai abbiano ben poco da dire rispetto a quanto già dato. A questo punto, quindi, è lecito domandarsi: come suona questo nuovo BTT? La risposta, fondamentalmente, la avete già avuta un paio di righe sopra. Tuttavia, non possiamo non notare come, tra gli arrangiamenti e gli ingredienti già fattici conoscere dalla band, facciano capolino alcuni piccoli elementi di novità che rendono, a suo modo, questo lavoro più interessante e piacevole nel suo proseguimento. Non pensate a chissà che cosa, si tratta di semplici virgole all’interno di un contesto sempre piratesco, folkeggiante, sbarazzino, scanzonato, ma dal piglio decisamente più aggressivo e meno sinfonico rispetto al passato. Quindi, detto questo, alzate il volume, spinatevi una buona birra da litro, lasciate perdere per un momento l’oscurità che aleggia interiormente in voi, stampatevi un sorriso sul volto e ascoltatevi il ritorno dei pirati scozzesi dell’heavy metal (non me ne vogliano i defunti Running Wild): questo è l’approccio corretto per gustarvi qualsiasi lavoro degli Alestorm, compreso questo Back Through Time.


Track By Track:

Il mare e l’atmosfera piratesca introducono la title-track, l’opener “Back Through Time”. L’attacco è affidato subito ad uno spietato blast-beat di batteria, donando una maggiore aggressività e violenza alla musica del combo scozzese. Questo brano d’apertura risulta essere sufficientemente accattivante ed aggressivo, soprattutto nell’azzeccato refrain, e, a suo modo, rappresenta una canzone leggermente scostata dai classici stilemi alla Alestorm. Quindi, un buon inizio, dove si intravedono buoni arrangiamenti folk-sinfonici alternati a riff più tirati e di matrice thrash. Deficitano un po’ invece (ma questo è risaputo) le parti vocali del singer-keyboarder Christopher Bowes, come sempre grezze e sterili, anche se azzeccate nel contesto piratesco. Un feroce riff thrasheggiante apre il primo singolo “Shipwrecked”, seguito subito da allegre melodie di fisarmonica. Quest’ottimo brano giustifica la scelta di usarlo come singolo: è infatti un piccolo inno da stadio che vi entrerà in testa fin dal primo ascolto. Notevoli gli stacchi thrash, nella parte mediana del brano, che donano quella giusta ed interessante alternanza tra folk e metal. Il buffo videoclip altro non fa che suggellare l’anima festaiola dei pirati scozzesi. Stesse soluzioni per la seguente “The Sunk’n Norwegian”, brano che richiama maggiormente il pirate metal dei primi due album. Anche in questo caso gli Alestorm, attraverso trombe, fisarmoniche, flauti e quant’altro, creano un anthem da cantare a squarciagola con tanto di pugno alzato, al grido di “One more drink!”. Il risultato che ne esce è un brano immediato e piacevole, ma non particolarmente esaltante né tantomeno innovativo. Meglio la seguente “Midget Saw”, che, dopo un’introduzione affidata ad una melodia folkeggiante, si riassesta sui binari della traccia di apertura, in termini di velocità d’esecuzione. Stacchi di doppia cassa velocissima e blast-beats improvvisi accompagnano il solito ritornello da stadio azzeccato per l’occasione. Molto buona la parte centrale, coadiuvata da un buon assolo di chitarra. Le melodie iniziali tornano sul finale, consegnandoci la successiva “Buckfast Powersmash”: il brano più aggressivo di tutto l’album. Nei suoi due minuti e mezzo di durata, questa bizzarra canzone ci propone dei riff velocissimi in un tiratissimo stile thrash-core (Municipal Waste?), alternati a delle parti più allegre, melodiose e folkeggianti. Nonostante gli esaltanti e violenti stacchi del refrain, in fin dei conti, risulta essere un brano poco riuscito nell’arrangiamento, poiché i riff thrash e le parti più melodiche vengono mal amalgamate, lasciandoci, alla fine dell’ascolto, una sensazione di amara inconcludenza. Poco male, comunque, per del sano headbanging. “Scraping The Barrel” è la classica ballad alla Alestorm, come da tradizione inserita in ogni album della band. I loro lenti, causa la voce eccessivamente imprecisa di Bowes, non brillano certo per intensità emotiva o interpretazione esemplare (non aspettatevi ballad strappalacrime tipiche dell’heavy o del power), ma comunque rappresentano degli episodi contestualizzati al tema piratesco e scorrono tranquilli nello stereo. E’ così anche per questo lento, che ha il suo punto di forza nel melodico refrain. Peccato solo che sia una cover di Stan Rogers, e quindi non sia interamente farina del sacco della band. C’è spazio per un altro inno folkeggiante, dall’eloquente titolo di “Rum” (c’è bisogno di ribadire quanto gli Alestorm siano amanti dell’alcool?). Una sorta di ode verso la bevanda alcolica preferita dai pirati di tutti i mari; pertanto già si può capire che i temi seri non sono alla portata di un gruppo come gli Alestorm. Musicalmente il brano non mette in evidenza grandi idee compositive, risultando così un episodio divertente, ma trascurabile. “Swashbuckled” si impone come un epico mid-tempo cavalcante, dove però le coordinate stilistiche del combo si confermano rimanere decisamente inalterate rispetto ai canoni. Il brano risulta abbastanza scontato, e nemmeno il cambio di velocità nell’intermezzo riesce a risollevare una song stanca e piatta, rappresentando, forse, l’episodio meno riuscito dell’album. Decisamente spiazzante “Rumpelkombo”, ed il motivo è presto detto: trattasi infatti di un mini stacco di 2 secondi effettivi di durata, inutile e completamente senza senso, progettato esclusivamente per indurre l’ascoltatore a farsi una buffa risata. Del resto la serietà, come abbiamo capito, non è contemplata in casa Alestorm. Fin troppo allegra e birraiola anche la seguente “Barrett’s Privateers”, che nelle sue folkeggianti melodie da osteria trova il suo punto di forza. Questa song quindi, pur peccando di incessante ripetitività, risulta, se non altro, divertente al punto giusto, come da miglior tradizione, aiutata anche da un buon assolo di chitarra. Arriviamo alla successiva “Death Throes Of The Terrorsquid”, che cade giusta giusta per risollevare le sorti di due o tre pezzi piuttosto trascinati e poveri di idee. Il brano sembra quasi esser pervaso da un’aura più seria ed oscura rispetto alla classica produzione del combo scozzese. Infatti le strofe, caratterizzate da melodie darkeggianti, lasciano spazio ad un lento refrain epico e, soprattutto, ad una notevole  parte centrale, in cui i blast-beats di batteria sono accompagnati da una voce scream (opera di Bowes?), dando vita così ad un’atmosfera decisamente vicina al black metal sinfonico (!) di Cradle Of Filth e Dimmu Borgir. Approdiamo così al finale della song, che si aggiudica la palma di miglior brano dell’intero album. Certo, nulla di nuovo o particolarmente innovativo è stato scritto, ma la sua maggiore lunghezza e varietà stilistica lo rendono una song interessante al punto giusto e molto godibile. Le seguenti brevi bonus tracks “I Am A Cider Drinker” (cover dei The Wurzels) e “You Are A Pirate” (cover dei Lazy Town), come si può immaginare già dai titoli, chiudono l’album con due inni di allegrissimo e scoppiettante folk metal. La prima forse più riuscita della seconda, sono comunque entrambe dei buoni espedienti per passare una serata in allegria con birra e amici all’osteria più vicina…E che altro vi aspettavate dagli Alestorm?!


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Dopo l’entusiasmo per le prime due tracce, non mi resta che confermare come sia palese a tutti che gli Alestorm siano una band nata unicamente con lo scopo di far divertire, a suon di inni, i propri fan folkettari. Questo aspetto, senz’altro lodevole da un certo punto di vista, si ripercuote, inevitabilmente, sull’aspetto musicale. La musica è ciò che conta davvero e, a conti fatti, sembra che il combo scozzese più di tanto non abbia intenzione di schiodarsi da questo allegro pirate metal. Ottima novità il primo album, azzeccato ma già stantio il secondo, arriviamo alla terza fatidica uscita per ottenere nient’altro che una conferma di quanto già eseguito in passato. Aiutano lievemente le rotte thrasheggianti e la sempre apprezzata allegria, ma non bastano per rendere buono e totalmente convincente un lavoro piuttosto approssimativo e spesso dispersivo, dove la qualità musicale e la ricerca sonora (essenziali al giorno d’oggi per risaltare almeno un minimo sulla massa) vengono meno, in favore di stilemi ormai già troppo abusati e sempliciotti. Non aiutano le prestazioni vocali di Bowes, talvolta al limite dell’imbarazzante, seppur contestualizzate. I solos del chitarrista Dani Evans sono abbastanza validi, certo, ma perdono spessore nel contesto e, molte volte, non vengono messi in risalto nel modo giusto, risultando solo un lieve contorno. Il basso di Gareth Murdock non spicca sugli altri strumenti, mentre si salvano la tecnica e precisa batteria di Pete Alcorn (non trascendentale, ma ficcante), i sempre buoni arrangiamenti orchestrali e la super-produzione, sempre attenta ad un suono moderno e pomposo. La copertina piratesca è divertente e ben fatta, come nelle scorse releases. Insomma, pistola alla testa, si tratta di un album discreto e piacevolmente ascoltabile per un paio di volte e non di più, senza aspettarsi eccellenti doti musicali, destinato presto a cadere nel dimenticatoio. Spesso si dice che il terzo album, per una band, rappresenti il punto di non ritorno, la prova del nove. Una prova che, in questo caso, ci ripropone una band ancora troppo statica e prevedibile anche per il prossimo futuro. Speriamo di sbagliarci e di poter sentire, un giorno o l’altro, un possente sparo di cannone dal galeone scozzese degli Alestorm.


Tracklist:

01. Back Through Time
02. Shipwrecked
03. Sunk'n Norwegian
04. Midget Saw
05. Buckfast Powersmash
06. Scraping The Barrel
07. Rum
08. Swashbuckled
09. Rumpelkombo
10. Barret's Privateers
11. Death Throes of The Terrorsquid
12. Am A Cider Drinker (Bonus Track)
13. You Are a Pirate (Bonus Track)


Voto: 6,5/10

mercoledì 15 giugno 2011

WITHIN TEMPTATION - The Unforgiving


Tentazioni radiofoniche…?

Nome Album: The Unforgiving
Etichetta: Roadrunner Records
Data di uscita: 19 Aprile 2011
Genere: Symphonic Metal/Gothic Rock

Introduzione:

La prima volta che vidi la cover “fumettizzata” di questo nuovo The Unforgiving, quando l’album era ancora in fase di realizzazione, cercai di capire il perché di un disegno così distante e “urbano” rispetto alle vecchie cover realizzate dal gruppo per i dischi precedenti. Variazione nello stile e cambio di rotta? In realtà, di questo cambiamento c’è ben poco, in questo nuovo lavoro. La cover si riferisce nient’altro che al concept che sta dietro al disco: una storia basata sui fumetti di Steven O'Connell. Risolto l’arcano sulla grafica, resta la musica: dopo 4 anni dall’ultimo favoloso disco in studio (The Heart Of Everything), intervallati da un album acustico, la band olandese capitanata dall’affascinante Sharon Den Adel e dal chitarrista, nonché compagno di Sharon, Robert Westerholt, torna con un album ricco di atmosfere affascinanti, non esente da qualche piccola novità e anche da varie ombre, rendendolo così un album piacevole, ma in certi momenti piuttosto piatto e tronfio rispetto al passato della band. L’approccio scelto (evoluzione spontanea o ricerca voluta?) dai WT, musicalmente parlando, calca le orme di un gothic rock ispirato e ben confezionato dalle numerose orchestrazioni, arrangiate, come al solito, in modo egregio. In sporadici episodi si avrà modo di assaporare qualche atmosfera che ricorda direttamente il vecchio corso della band (tralasciando il primo album Enter, dal sapore dark-gothic-doom), e in un paio di brani avremo invece modo di apprezzare la band in una veste maggiormente “powereggiante”. Insomma, la carne al fuoco è molta e di certo i WT non lasciano nulla al caso. Ma non è sempre oro ciò che luccica: se da una parte rimangono inalterate le atmosfere sinfoniche a cui siamo stati abituati da anni, dall’altra riscontriamo qualche pecca nel songwriting. Se già il precedente lavoro risultava essere più morbido ed ampolloso rispetto al passato, ora molte songs tendono ad essere ancora più “mainstream”, più radiofoniche e di facile ascolto, e ciò porta inevitabilmente (come nella maggioranza dei casi come questo) ad un calo qualitativo, per quel che concerne la ricercatezza musicale. C’è solo da augurarsi che il sestetto, forte di un costante apprezzamento planetario, non intraprenda strade sempre più impervie, votate maggiormente al successo commerciale piuttosto che alla qualità della proposta musicale. Intanto, non resta che ascoltare, con mente aperta (si astengano i “true metal warriors”), questo nuovo lavoro targato Within Temptation.


Track By Track:

L’apertura del nuovo lavoro è affidata ad una breve intro narrata, che altro non fa che introdurci nella storia del concept. “Why Not Me” dura pressappoco 40 secondi e possiede delle piccole orchestrazioni che passano presto inosservate. Nulla di trascendentale, insomma, per introdurre l’album. Procede subito la seguente vera opener, “Shot In The Dark”, che prende le mosse da alcuni lievi beat elettronici, per poi esplodere in un classico ritornellone alla Within Temptation: melodico, sinfonico ed emotivo. Il brano prosegue su tempi medi, come da miglior tradizione, anche se si inizia già a riconoscere una direzione più radiofonica che caratterizzerà i vari episodi del disco. Un brano discreto, in fin dei conti, che lascia spazio al riff e alla doppia cassa di “In The Middle Of The Night”, brano che si distacca dalla tradizione sonora della band olandese, grazie,  appunto, a velocità maggiormente sostenute, coadiuvate da tappeti di doppia cassa. Il brano assume quindi dei connotati più vicini al power metal più sinfonico e moderno. Al di là di questo comunque, risulta essere una song davvero valida, con un bel refrain, su alte tonalità per Sharon, a coronare quello che considero uno dei migliori brani del disco. Subito dopo veniamo trasportati sulle note del primo singolo scelto per anticipare l’uscita del disco: “Faster”. Ci troviamo di fronte al brano più radiofonico e semplice dell’intero album. I buoni arrangiamenti orchestrali alzano le sorti di una canzone che, altrimenti, risulterebbe essere troppo piatta e troppo poco ricercata. Insomma, un episodio sufficientemente piacevole, ma che farà storcere il naso a molti. Impossibile poi non notare il mezzo plagio alla song di Chris Isaak “The Wicked Game” (interpretata tra l’altro anche dai finlandesi H.I.M.). Un’apertura sinfonico-cinematografica apre la successiva prima ballad del disco: “Fire And Ice”, un bellissimo brano pieno di pathos e decisamente ben costruito. Una prima parte pianistica lascia spazio alle chitarre pompose, che esplodono in un bel refrain evocativo con tanto di cori e sottili arrangiamenti sinfonici, per una ballad che suggella il livello qualitativo globale del disco. Altro brano da annoverare tra i più riusciti. La successiva “Iron”, in quasi 6 minuti di durata, ci delizia con le sue partiture che molto richiamano il passato della band, quel The Heart Of Everything tanto osannato ed apprezzato. Il riff d’apertura, molto semplice e lineare, viene accompagnato da splendidi arrangiamenti orchestrali e corali, proseguendo attraverso delle buone strofe. Ma proprio là dove i WT giocano spesso le loro carte vincenti (ovvero nel ritornello), abbiamo un leggero calo, con un refrain non particolarmente brillante, ma comunque scorrevole. La voce di Sharon, le orchestrazioni e l’ottimo break centrale rallentato (con narrazione annessa), e successivo guitar solo impreziosiscono non poco il brano, rendendolo molto piacevole. Rallentano ulteriormente i ritmi con la melodica “Where Is The Edge”: questo brano lento risulta abbastanza accattivante nel refrain e nelle strofe incisive, ma altro non fa, in definitiva, che aggiungere alla tracklist un altro brano discreto e nulla di più, condito dalle solite orchestrazione ampollose e ben costruite. Dopo questo episodio sempre piacevole, ma non esaltante, ci troviamo di fronte ai beat elettronici di “Sinéad”, una song di facile presa, ma riuscita e che, a suo modo, spezza un po’ la poco variegata struttura delle tracce precedenti. In questo episodio acquistano un po’ di vigore le ritmiche quasi dance, dando un pelo di freschezza in più ai limitati ritmi che spesso rinveniamo in generi come quello proposto dalla band olandese. Buono il refrain che, agli onnipresenti arrangiamenti orchestrali, aggiunge anche un pizzico di elettronica. Il secondo lentone di The Unforgiving prende il semplice nome di “Lost”: questa bella ballata si rifà, stilisticamente, alle ballad già pubblicate dalla band nei platter precedenti. Nulla di nuovo sotto il sole comunque: il brano è ricco di pathos, grazie ad imponenti orchestrazioni sinfoniche e corali, e si segnala la presenza di un guitar solo eseguito con chitarra classica, seguito da un altro buon assolo in elettrica, per poi proseguire verso l’ultimo refrain e verso il finale della canzone. Ballad quindi piacevole, anche se, qualitativamente, leggermente inferiore rispetto alla precedente “Fire And Ice”. “Murder” presenta un’atmosfera vagamente più oscura rispetto ai brani precedenti, ma non brilla all’interno della tracklist, a causa di un incedere piuttosto scontato e di un refrain poco incisivo e, quindi, piuttosto piatto. I ritmi sono ancora rallentati e si percepisce come le buone idee stiano trovando difficoltà ad uscire, rendendo, a mio avviso, trascurabile questo brano. Va meglio con il diretto seguito “A Demon’s Fate”, canzone molto più efficace, in cui balza all’orecchio, ancora una volta, una maggiore ricercatezza nelle ritmiche, che si elevano rispetto ai consueti canoni, per spostarsi ancora una volta (anche se in maniera meno marcata) sui binari sinfo-powereggianti della terza traccia. Il brano prosegue attraverso un buon ritornello, ed è aiutato da orchestrazioni perfette e ricercate che imperversano in un emozionante crescendo. Da segnalare l’ottimo assolo di chitarra, su un tappeto di doppia cassa e molta sinfonia. Brano riuscito, decisamente sopra la media. Chiusura affidata ad un altro buon brano piacevole dal titolo “Stairway To The Skies”, dove non compaiono altro che i soliti ingredienti che hanno fatto grande la musica del combo olandese. Ritmi lenti, copertura sinfonico-corale pomposa e fin troppo presente, aperture ultra-melodiche nei ritornelli. Quindi, alla chiusura del concept, non troviamo nulla di particolarmente innovativo, ma solo una song ancora una volta piacevole e scorrevole, che, però, non aggiunge nulla di nuovo a quanto già propostoci in precedenza dalla bella Sharon e compagnia.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Devo ammettere che, talvolta, mi capita di riascoltare questo album. Lo trovo piacevole e scorrevole. Certo è che un suono come questo, così ampolloso e così estremamente sinfonico, se recepito in quantità industriali, può facilmente far risalire una noia non indifferente nei confronti dell’ascoltatore. Ma, in fondo, questa è anche questione di gusti, ed obiettivamente non si può che valutare positivamente un  lavoro come questo. A parte le sporadiche bordate in doppia cassa già menzionate, un ulteriore elemento che dona maggior vigore all’album rispetto ai lavori precedenti, è l’introduzione, in alcuni brani, di assoli di chitarra (ad opera di Ruud A. Jolie) finalmente degni di nota e maggiormente costruiti, spesso tenuti in secondo piano in passato. Il chitarrismo ritmico di Westerholt non brilla certo per particolari doti o tecnica, ma è perfettamente integrato, come sempre, in quello che è il contesto musicale della band. Medesimo discorso per il bassista Jeroen Van Veen. Martijin Spierenburg (tastiere) è, con tutta probabilità, l’autore di tutto l’apparato sinfonico e di arrangiamento orchestrale della band, pertanto a lui va il plauso di saper creare intrecci musicali davvero notevoli, donanti un certo spessore artistico ed un’aura atmosferica alla musica del sestetto. Dopo la defezione del precedente batterista Stephen Van Haestregt, le partiture di batteria sono state con molta probabilità eseguite e registrate da un turnista. Da segnalare la maggior ricercatezza (già accennata) rispetto al passato, anche se, in definitiva, si tratta di partiture di batteria tese quasi esclusivamente a tenere il tempo, senza eccedere in passaggi memorabili. Infine, la voce di Sharon: il suo particolare timbro, riconoscibile al primo istante, è il vero trademark del gruppo (assieme alla sua appariscente presenza scenica con tanto di gestualità varie ed abbigliamento dark-gothic). Al di là del fatto che la sua voce possa piacere o meno, la frontwoman si rende, ancora una volta, protagonista di una prova eccellente dietro al microfono, senza grandi sviluppi tecnici rispetto a quanto già presentatoci negli album precedenti. Insomma, siamo di fronte ad un lavoro di indubbia qualità per le prove dei singoli musicisti (aiuta molto anche una produzione spettacolare ed esplosiva), ma che risente di qualche pecca a livello di songrwriting, senza contare che non è presente alcun vero capolavoro all’interno della tracklist, trattandosi di un concentrato di songs valide e scorrevoli, ma certamente non trascendentali. Per tale motivo, mi sento di dare solo un 7 a questo nuovo lavoro, nella speranza che i nostri olandesi preferiti tornino a sorprendere con brani davvero epici (ve la ricordate “Mother Earth”?) ed ancor più meritevoli.



Tracklist:

01. Why Not Me
02. Shot In The Dark
03. In The Middle Of The Night
04. Faster
05. Fire And Ice
06. Iron
07. Where Is The Edge
08. Sinéad
09. Lost
10. Murder
11. A Demon's Fate
12. Starway To The Skies



Voto: 7/10

martedì 7 giugno 2011

AVANTASIA – The Flying Opera (Around The World In 20 Days – Live)

- - - Recensione Live DVD - - -


Titolo: The Flying Opera (Around The World In 20 Days – Live)
Data di pubblicazione: 31 Marzo 2011
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Power Metal/Hard Rock
Contenuti: 2 CD (Live show), 2 DVD (Live show, documentario, contenuti speciali)


Recensione:

Le pagine dell’ultima decade del power metal, come molti sanno, sono state fortemente segnate dall’avvento della Metal Opera per eccellenza, ovvero dal mastodontico lavoro in studio di una delle più fervide menti degli ultimi anni. Stiamo parlando di Tobias Sammet, giovane leader ed anima degli Edguy; una band cresciuta bene e velocemente, che ha visto crescere consensi di album in album. Questo 34enne, fin dai tempi di “Vain Glory Opera” (famoso ed importante album della band madre, datato 1998) ha ben chiaro l’intento: realizzare un’opera metal, un concept album epico, con tanto di artisti già noti nella scena hard’n’heavy. E’ così che nasce il grande progetto Avantasia.
Forgiati con incredibile successo di pubblico e vendite i due primi capitoli “The Metal Opera (Part I & Part II)”, dopo alcuni anni di silenzio, ecco tornare alla ribalta il nome Avantasia: la musica (così come per gli Edguy) si fa meno epica ed inizia ad essere caratterizzata da un taglio più moderno, a tratti decisamente orientato verso l’hard rock e l’AOR. Stiamo parlando di “The Scarecrow”, il tanto atteso ritorno sul mercato del progetto di Sammet e il tassello iniziale per l’avvio di una nuova saga concettuale denominata “The Wicked Trilogy” (culminerà con i più recenti “The Wicked Symphony” ed “Angel Of Babylon”). A questo punto però, l’enorme successo che il nome Avantasia si porta sulle spalle, inevitabilmente, porterà il buon vecchio Tobi a considerare gli Avantasia non solo un semplice progetto solista, ma una vera e propria band. Questo lo si può chiaramente intuire guardando il live show (girato al Wacken Open Air, Germania, e al Masters Of Rock, Repubblica Ceca) presentatoci in questo fresco DVD.
Recensire un live show è un compito abbastanza semplice, in realtà. Non c’è nulla di nuovo da dover paragonare o confrontare, non ci sono brani inediti che necessitano una valutazione oggettiva: resta da valutare solo la passione e la carica trasmessa on stage, l’abilità tecnica nel saper riproporre i propri successi e, come ultimo aspetto (ma non meno importante), le scenografie, le inquadrature ecc… Tutti aspetti decisamente notevoli in questo succoso DVD. L’edizione da me posseduta prevede 2 CD (la verisione audio dell’intero show) e 2 DVD, l’uno contenente l’esibizione, l’altro contenente videoclips ed un documentario (senza sottotitoli) molto interessante, incentrato sul backstage del grande e biblico, nonché faticoso, tour mondiale che Tobi e compagni hanno portato avanti nel 2008; il tutto è incorporato in una bellissima confezione cartonata.
Fin dall’attacco di “Twisted Mind”, si percepisce subito il calore delle 85.000 persone presenti al Wacken (in  quell’edizione, vide proprio gli Avantasia come head-liner) e al Masters Of Rock. Attraverso i vari successi del mastermind tedesco riproposti on stage, esce l’impatto di una vera e propria band, capace di rapire il pubblico, grazie anche all’innesto di più voci nel corso dello show, tra le quali abbiamo (oltre a Tobi) l’onnipresente Amanda Somerville, Cloudy Yang (ai cori), nonché mostri sacri del calibro di Bob Catley (notevole in “The Story Ain’t Over”), Andre Matos (“Reach Out For The Light” su tutte), Kai Hansen (presente fondamentalmente solo su “The Toy Master” al posto di Alice Cooper, presente invece su disco), e Jorn Lande (assoluto protagonista assieme a Tobi, nonché acquisto azzeccatissimo per la casa Avantasia). Questo bill, così succulento, viene accompagnato dalle due asce (entrambe sia ritmiche che soliste) Oliver Hartmann (in alcuni casi anche voce solista) e Sascha Paeth (ex-Heaven’s Gate, nonché affermato produttore di band quali Rhapsody Of Fire o gli stessi Edguy), dal tastierista Michael Rodemberg, dal bassista Robert Rizzo e dal batterista degli Edguy, tale Felix Bohnke, spalla sicura per il leader Tobias. Con questa line-up, gli Avantasia donano il meglio di sé: Tobi è un animale da palco e trascina la folla a dovere, con rari cali di voce, dando vita ad  uno show caloroso ed estremamente coinvolgente. Musicalmente e tecnicamente, si può percepire qua e là qualche sporadica lieve caduta o qualche colpo mancato, ma in un live show come questo, in cui trasudano hard rock-heavy-power-metal, sono le emozioni che contano, l’energia e la passione che una band riesce a sprigionare. Ascoltate “The Scarecrow”, “Shelter From The Rain”, “Promised Land” (solo per citare alcuni tra gli episodi migliori), per percepire la pelle d’oca sulle vostre braccia, fino al culmine dell’emozione con l’esibizione del medley finale “Sign Of the Cross / The Seven Angels”: il picco dello show, un paradiso sonoro, con tutte le voci presenti per cantare sullo stesso palco i possenti ed epici refrain delle due song citate: credo che chi si sia trovato al Masters Of Rock in quel momento, abbia vissuto una delle esibizioni musicali più intense e coinvolgenti degli ultimi anni.
Qualità video e audio sono garantite e le numerose inquadrature accompagnano a dovere i vari musicisti, lungo la durata dello show, rincarando la già elevata qualità di questo prodotto.
Tale DVD sugella, quindi, 20 giorni di intenso world tour da parte dell’instancabile leader tedesco e della sua ciurma di stars. E’ bene che facciate vostro questo show, poiché non è detto che i tour degli Avantasia si susseguano per molti anni a venire, visto l’enorme impegno di energie e risorse che un evento così mastodontico richiede. Un’ ottima idea regalo per le occasioni importanti, per un compleanno o per un anniversario di fidanzamento (…vago riferimento al motivo per cui ho in mano questo DVD…), ma, soprattutto, per chi ama l’hard rock/power metal degli Edguy e degli Avantasia, per chi ama quel simpatico Tobias Sammet, che da anni ci regala immense emozioni, e per chi ama la vera musica fatta ed eseguita col cuore. Semplicemente appagante.


Tracklist:

01. Twisted Mind
02. The Scarecrow
03. Another Angel Down
04. Prelude/ Reach Out For The Light
05. Inside
06. No Return
07. The Story Aint Over
08. Shelter From The Rain
09. Lost In Space
10. I Dont Believe In Your Love
11. Avantasia
12. Serpents In Paradise
13. Promised Land
14. The Toy Master
15. Farewell
16. Sign Of the Cross / The Seven Angels (Medley)


Voto: 9/10