domenica 4 dicembre 2011

AMARANTHE - Amaranthe


Quando il nuovo (o quasi) avanza…

Nome Album: Amaranthe
Etichetta: Spinefarm Records
Data di uscita: 13 Aprile 2011
Genere: Modern Metal
 
Introduzione:

Göteborg: città svedese ben conosciuta per chi segue il metal europeo a 360°. Da questo loco, infatti, derivano alcune grandi band che in qualche modo hanno lasciato segni indelebili nella storia del metal più attuale. At The Gates, In Flames, Hammerfall, Evergrey ecc… sono nomi importanti per lo sviluppo del melodic death metal, del power metal e via dicendo. Ripescando ed innovando tutti questi elementi, spuntano da tale città anche questi nuovi Amaranthe, esordienti ufficialmente in questo 2011, sotto l’ala protettrice della Spinefarm (che ha dato fede anche ad affermate band come Children Of Bodom, Sonata Arctica e Nightwish). In realtà, di nuovo c’è ben poco sulla scena: infatti i nostri sono tutti giovani ragazzi che hanno già avuto esperienze varie nel campo metal. La bella singer Elize ha alle spalle una militanza nei tour dei Kamelot, il cantante Jake ha operato nei Dream Evil, Olof Mörck ha prestato i suoi servigi chitarristici nei bellissimi Dragonland e Morten ha pestato le pelli nei deathster melodici Mercenary. Da questa riuscita unione di talenti, nasce una band che unisce la furia del death melodico, di scuola svedese, con robusti inserti elettronici e, soprattutto, con ritornelli zuccherosi, estremamente immediati e d’impatto, coadiuvati dalla presenza di ben tre voci nell’organico: maschile-femminile-growl. Il risultato, credetemi, è sbalorditivo: una volta che gli Amaranthe si ficcano in testa, è difficile riuscire a rimuoverli. A testimonianza di questo è sufficiente ascoltare l’intero lavoro d’esordio omonimo. Insomma, nel marasma del metal moderno, che spesso aggiunge solo polvere ad una scena tragicomicamente grossolana e priva del giusto spirito, gli Amaranthe osano e colpiscono quanto dovuto, grazie ad un metallo estremamente nuovo (i true-metal-heads ne stiano lontani il più possibile) e coinvolgente, dotato di brani brevi e dalla struttura semplice. Come già accennato, posso ben comprendere come certi metalheads cresciuti a Megadeth, Manowar e Judas Priest (ne cito tre a caso) possano trovare ostiche e ripugnanti certe sonorità, ma in fondo sappiamo bene che se il metal continua a vivere è anche perché è un genere in grado di evolversi costantemente. Se continuasse ad evolversi attraverso gruppi come gli Amaranthe, sarebbe oro colato.


Track By Track:

12 tracce, 43 minuti. Tanto basta per far capire di che pasta sono fatti questi Amaranthe. Partenza alla grande con l’attacco di “Leave Everything Behind”, brano introdotto da riff che ripescano il meglio dei Children Of Bodom più melodici. Già con questo brano, vengono messe in risalto le caratteristiche del sound propostoci: riff melodic-death, sapiente e continua alternanza tra voci sporche e voci pulite, chitarroni ribassati di ottomila toni, sound potente e cristallino, inserti elettronici e refrain melodici ed estremamente orecchiabili, il tutto concentrato in pochi minuti di brano. Sentire per credere! L’esordio prosegue con il singolo da classifica “Hunger”: elettronica e dinamismo ritmico in primo piano, una strofa accattivante e ruffiana, fino ad un’esplosione di melodia nel veloce ed incisivo ritornello. Ciò che salta all’orecchio durante l’ascolto della song e dell’intero album, sono le abilità tecniche del chitarrista (e maggior compositore) Olof Mörck, capace di assoli puliti ed ottimamente strutturati nelle melodie, forti di sweep-picking e giochini tecnici tutt’altro che semplici. Dopo il contagio a cui “Hunger” vi ha sottoposto (ho perso il conto di quante volte l’ho riascoltata), arriva “1.000.000 Lightyears” a scuotere nuovamente le nostre viscere: il brano in questione gode, ancora una volta, di ritmiche dinamiche e mai stantie, di un occhio attento per la melodia ricercata e stuzzicante, e dei consueti intrecci vocali (caratteristica portante della band). Molto gradevole l’intermezzo centrale di stampo metalcore, seguito da ottimi (seppur brevi) solos di chitarra. L’intro simil-dance di “Automatic” non deve trarre in inganno. E’ infatti solo un alternativo modo per introdurre la canzone più catchy di tutto il disco: la strofa accattivante e potente lascia presto spazio ad un bel crescendo che sfocia in un refrain corale e fin troppo contagioso. Molto facilmente, vi ritroverete a canticchiare il ritornello di “Automatic” sotto la doccia o mentre siete in auto. Per quanto semplice e, se vogliamo, elementare, è un brano davvero riuscito, corposo quanto basta. Possiamo maggiormente godere, in questo brano, del chitarrismo di Olof, grazie ad un assolo leggermente più lungo. Stessa formula per “My Transition”: una song di fronte alla quale è, ancora una volta, impossibile restare indifferenti. La potenza del sound e gli intrecci strumentali, così dinamici e mai banali, rendono il tutto davvero coinvolgente. Ancora una buonissima prova di Olof ed il brano prosegue con sicurezza fino alla propria conclusione. Forse quest’ultimo episodio non ha lo stesso appeal dei brani precedenti, ma poco importa. La band dimostra anche una propensione verso brani smaccatamente più lenti e commerciali con la successiva “Amaranthine”: si tratta, infatti, di una romantica ballad, introdotta da un soave pianoforte che ci trasporta in un ritornello di matrice pop, abusato a stra-abusato chissà da quante bands e popstars. Nonostante questo, ritengo “Amaranthine” una delle song più belle dell’album: infatti, il brano non disdegna lievi atmosfere elettroniche ed aperture più orientate verso il metalcore (l’incursione del growl di Andreas è da manuale). In più, la carica vocale dei crescendo dei cori e la splendida voce di Elize conferiscono a questa ottima ballad un’aurea estremamente sensuale ed accattivante. L’attacco improvviso di “Rain”, desta subito l’attenzione ripresentando l’anima più metalcore degli Amaranthe. Il brano ha degli ottimi spunti e gode di un perfetto connubio di potenza e melodia, senza dimenticare i sempreverdi innesti elettronici (a momenti sembra di sentire una colonna sonora di qualche action-movie holliwoodiano). Tuttavia, il brano in questione è forse quello più trascurabile del lotto, vista la somiglianza strutturale dei vari brani fin qui ascoltati e la sua propensione verso sonorità vicine al bistrattato nu-metal. Le soprese non finiscono, perché la techno si impossessa della band in “Call Out My Name”, brano venato da contaminazioni industrial-elettroniche piuttosto imponenti e decisamente riuscite nel contesto. L’incedere è incredibilmente coinvolgente, a metà tra il metal moderno e sonorità techno-dance. I più aborreranno queste sonorità, così evidentemente moderne, ma chi non disdegna in alcun modo la sperimentazione nel metal, avrà certamente modo di apprezzare questo bellissimo ed accattivante brano. “Enter The Maze” ripresenta gli Amaranthe sotto una veste più melodica, con un brano dalle sonorità sempre seducenti e particolarmente catchy nell’incedere generale, abbastanza vicino a certe song prodotte dalla discografia più recente dei Nightwish (senza i pomposi sfarzi sinfonici dei finlandesi). Ottimi gli intrecci ritmici della strofa, così come la scelta delle melodie in bridge e refrain. Diversa dall’impianto classico dell’album è invece “Director’s Cut”, canzone particolarmente ritmata e dotata, al contempo, di melodie cadenzate che creano un’atmosfera, a suo modo, malinconica. Da segnalare, ancora una volta, lo splendido assolo in crescendo ad opera di Mörck. Dopo questo bel brano, scorrevole e molto piacevole, è il momento della penultima “Act Of Desperation”, dalla strofa, in tutta sincerità, abbastanza simile a quanto già ascoltato in qualche brano precedente. La forza del brano, però, sta nei sincopati ed originali intrecci ritmici insediati tra chitarra, basso e batteria, nel particolare ritornello. Davvero ben riuscita, grazie anche ad un’ennesima ottima prova solistica del chitarrista e dell’ottimo operato vocale dei tre singers: in particolare Elize, con la sua voce alta e potente, raggiunge alti picchi di intensità. A chiudere il tutto ci pensa una canonica “Serendipity”, brano piacevole che scorre liscio come l’olio tra suadenti melodie e consuete ritmiche metalcore. Bello il ritornello, emotivo ed anche un po’ ruffiano, così come risulta azzeccato lo stacco metalcore centrale. Un brano, quindi, nella media che conclude una gran bella prova, in questo 2011 ricco di uscite discografiche. Definitelo come volete: adulatore, commerciale, pop, ma ciò non toglie che Amaranthe sia anche un disco estremamente immediato, ricco di idee, sfarzoso negli arrangiamenti e, soprattutto, dotato della rara capacità di rimanere scolpito in testa, dalla prima all’ultima nota.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Una bella sorpresa questi Amaranthe, devo ammetterlo. Spesso non sono personalmente incline ad approcciarmi a musiche troppo modernizzate; tuttavia, pensando di trovarmi ad ascoltare un album di gothic metal moderno e pomposo (il nome della band e la presenza di Elize in copertina mi avevano fatto pensare ad un clone degli osannati Nightwish), mi sono imbattuto invece in canzoni brevi e dirette, istantanee, ritmiche e melodiche, dal sapore metalcore condito con intrecci vocali davvero ben fatti ed interessanti. Come accennato più volte, segnalo prima di tutto il chitarrista Olof Mörck, condottiero spietato tra riff ricercati ed assoli tecnici ed ottimamente studiati, vera sorpresa per un gruppo del genere. Mi ha poi colpito il drummer Morten Løwe Sørensen, dotato anch’esso di un alto tasso di tecnica esecutiva, capace di andare alla ricerca di pattern ritmici tutt’altro che superficiali, ricchi invece di molte sfumature. Il bassista Johan Andreassen esegue il suo canonico lavoro, relegato un po’ nell’ombra di quella che è la caratteristica principale degli Amaranthe, ovvero i tre frontman al microfono: Andreas Solveström, bravissimo ed espressivo nelle harsh-growl vocals, Jake E, cantante dalla timbrica giostrata su tonalità medio-alte, per la verità non sempre convincente, ma comunque ben adeguato nel contesto, e la graziosa Elize Ryd, dotata di una suadente timbrica di stampo pop (in altre parole, non lirica), espressiva e decisamente adatta al genere proposto. I tre cantanti giocano sugli intrecci vocali, sui cambi umorali delle varie song, dando una dinamica non indifferente ad ogni brano proposto. Certo, in Amaranthe non è tutto rose e fiori, ovvero si riscontra più che facilmente una certa propensione all’utilizzo di strutture, in fin dei conti, semplici e tra loro molti similari. Ma c’è da dire che il dinamismo vocale, gli arrangiamenti non lasciati al caso ed i minutaggi ridotti delle song fanno si che chi ascolti questo lavoro non abbia molte possibilità di annoiarsi. Come poi ho già detto, sarà difficile scrollarvi di dosso questi brani e questi ritornelli. La copertina non è un capolavoro, ma gode di colori carichi, presentandoci la band in tutto il suo splendore, con la Ryd al centro della foto (mossa puramente commerciale?) e la produzione iper-nitida dona un sound potente e pungente ad ogni pezzo. Si sente che gli Amaranthe provengono già da diverse esperienze, perché un’opera prima come questo omonimo lavoro non è da tutti. Mi auguro di ritrovare lo stesso spessore anche nel loro prossimo album, magari con composizioni più differenti tra loro, ma sempre con la stessa impetuosa energia che gli Amaranthe sanno sprigionare.


Tracklist:

01. Leave Everything Behind
02. Hunger
03. 1.000.000 Lightyears
04. Automatic
05. My Transition
06. Amaranthine
07. Rain
08. Call Out My Name
09. Enter The Maze
10. Director’s Cut
11. Act Of Desperation
12. Serendipity


Voto: 8/10

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