sabato 26 novembre 2011

Live Report: OPETH, Alcatraz, Milano, 24-11-2011

Live Report – OPETH
 (+ Pain Of Salvation)
Alcatraz, Milano, 24-11-2011


Dopo due anni di assenza dalla nostra patria, con l’ottima prestazione (a cui il sottoscritto era presente) al Mediolanum Forum, in occasione del Progressive Nation Tour, torna una delle metal band più osannate nel nostro Bel Paese. Tornano infatti sul palco dell’Alcatraz gli svedesi Opeth! La band prosegue il proprio tour di supporto al nuovo arrivato “Heritage”, toccando anche il locale milanese per l’unico show italiano previsto. Ad aprire la serata, Mikael Åkerfeldt e soci hanno deciso di portare con se un'altra particolare band della scena prog metal attuale, ovvero i loro connazionali Pain Of Salvation. Come i fan avranno avuto modo di ascoltare, il nuovo parto in casa Opeth, “Heritage” (la mia recensione al seguente link: http://recensionimetalfil.blogspot.com/2011/11/opeth-heritage.html), si discosta in toto dal death progressivo a cui la band ci ha abituato, presentandoci, invece, un lavoro totalmente ispirato al prog rock anni ’70, tanto amato dal leader del gruppo. Pertanto, le caratteristiche che hanno dato vita a questa nuova creatura, vengono riproposte anche in questo lungo tour. E’ a tale causa che possiamo quindi additare la mancanza del superbo growl di Mikael, a favore di un limpido clean vocalism. La setlist è quindi stata concentrata su quei brani dotati interamente di voce pulita, senza alcun accenno al buon vecchio growl del leader. Questo ha giocato non poco sulla resa del concerto. Musicalmente i nostri sono stati perfetti, ineccepibilmente mastodontici nell’esecuzione e nel coinvolgimento, ma alcune scelte hanno portato, inevitabilmente, a rendere il concerto troppo prolisso in alcuni tratti. Non fraintendetemi, è stato un concerto meraviglioso, sotto molti punti di vista, ma dare almeno un po’ di spazio anche alla discografia più maligna e death-oriented del combo avrebbe sicuramente giovato al pubblico ed avrebbe reso lo show unico, come quello propostoci due anni or sono. 
La data è già da alcuni giorni sold-out, come si prevedeva già dall’inizio della prevendita ed infatti, arrivati alla location poco prima della 19 senza grossi problemi di parcheggio, si prospetta dinnanzi a noi una folta coda  di fans che prosegue lungo le pareti dell’Alcatraz. Apertura cancelli puntuale alle 19, ed in poco tempo il locale si riempie a dovere, accogliendo circa 3000 persone (prendiamo con le pinze questa mia personale stima). Intorno alle 20 arrivano sul palco gli ospiti della serata, i progster PAIN OF SALVATION. Ammetto, fin da ora, che non ho un’ampia conoscenza al riguardo della  discografia di questa band, ormai attiva dagli albori degli anni ’90, con otto album alle spalle, tra cui il recente “Road Salt II”. Il pubblico milanese sembra apprezzare particolarmente la band, attraverso un calore che, generalmente, ci si aspetterebbe per un headliner, segno che anche i POS erano particolarmente attesi, oltre chiaramente agli Opeth. Una bizzarra introduzione ci conduce attraverso la cinquantina di minuti messa a disposizione per la band di Daniel Gildenlow. Lo show della band sembra orientato verso dei pezzi decisamente trascinanti, ma più facilmente accostabili ad un rock sperimentale, piuttosto che ad un prog metal esageratamente tecnico. Poco male, perché i pezzi sono molto validi, a volte dinamici e coinvolgenti, altre volte più lenti e costruiti. Gli svedesi dimostrano di essere particolarmente spigliati e di avere confidenza col palcoscenico, frutto d’anni di esperienza, presentandoci un Johan Hallgren (al suo ultimo tour con i POS) alla chitarra davvero dinamico e coinvolgente. La bella idea di contrapporre più voci principali nel sound rende la proposta  alternative-sperimentale variegata e particolare. Tra le varie song, spiccano la tostissima “Ashes”, la ballad “1979” e la rockeggiante “Linoleum”. Bravi questi Pain Of Salvation, capaci di uno show gradevole e trascinante. Per chi, come me, ha sentito davvero poco di questa band, è stata un’ottima occasione se non altro per sentire della buona musica dal vivo.
Giusto il consueto tempo necessario per il cambio palco, ed ecco che, sulle note della canzone del Popul Vuh Maya “Through Pain To Heaven” compaiono sul palco gli attessissimi Opeth! Basta un accenno del nuovo singolo “The Devil’s Orchard” e l’Alcatraz diventa un fragoroso boato all’unisono. La band appare, fin da subito, in ottima forma, così come i suoni sono perfetti ed ottimamente bilanciati. La setlist è chiaramente basata soprattutto sull’ultimo controverso “Heritage” (funziona quasi meglio dal vivo che su disco), ed il resto tocca vari episodi dalla discografia precedente, forzatamente selezionati per evitare il cantato in growl. Questa scelta si riversa nel fatto che i due capolavori Orchid e Morningrise vengono completamente ignorati, purtroppo, così come il bellissimo Ghost Reveries e molta parte della vecchia discografia. Nella prima parte dello show abbiamo, quindi, l’ottima riproposizione della nuova perla oscura “I Feel The Dark”, della toccante “Face Of Melinda” (un vero capolavoro), senza dimenticarsi di citare l’immensa ed emozionante “Porcelain Heart”, nel cui intermezzo viene suonato un grandissimo assolo di batteria di Martin Axenrot, giocato soprattutto su un’impressionante dinamica e sulla tecnica esecutiva del drummer, piuttosto che su alte velocità. Già con “Nepenthe” (una song simil-jazz presente sul nuovo album) gli animi si raffreddano non poco, proseguendo anche attraverso un successivo set acustico, in cui la stranissima “The Throat Of Winter” (canzone uscita come colonna sonora del videogioco “God Of War”) poteva essere evitata e sostituita con qualche episodio più celeberrimo (una “Harvest” a caso…). Dopo l’ulteriore dose di delicatezza con la pur bellissima “Credence”, l’incalzante “Closure” chiude il set acustico, ed il resto è tutto un insieme di brani atti a risollevare le sorti di uno show divenuto lento nel suo corso. L’hard rock della nuova “Slither”, la magniloquenza della splendida “A Fair Judgement” (con un potente e plumbeo rallentamento sul finale) e il prog metal di “Hax Process” sono eseguite magistralmente, trasportandoci direttamente all’encore finale di “Folklore”, stupendo brano di “Heritage”. Åkerfeldt scherza, come sempre, con il proprio pubblico, trasformandosi inevitabilmente nel mattatore della serata, citando spesso Eros Ramazzotti per scatenare l’ilarità del pubblico dell’Alcatraz e presentando in modo allegro i membri della sua poliedrica band. I singoli musicisti sono ormai garanzia di seria professionalità e a livello esecutivo non sbagliano un colpo: rimango sempre personalmente colpito dall’operato del bassista Martin Mendez, un autentico mostriciattolo delle 4 corde, dinamico nelle movenze e preciso nell’esecuzione. Le singole canzoni sono di per se splendide, eteree e sognanti, come da sempre gli Opeth ci hanno abituato. Resta da capire se questa propensione verso sonorità più soft sia una direzione intrapresa in modo definitivo, o se sia solamente un momento che Åkerfeldt e soci sentivano il bisogno di vivere in questo modo, pur attraverso scelte che non hanno certamente accontentato tutti (a volte tra il pubblico era palpabile una certa disapprovazione, in merito alla scelta dei brani proposti).
Un concerto quindi strano, difficilmente catalogabile come uno show propriamente metal, ai quali siamo abituati noi metallari. A me personalmente è piaciuto molto, è bastato rendersi semplicemente conto che quella sera all’Alcatraz non stava suonando una metal band a tutti gli effetti. Tuttavia, sono il primo ad additare qualche decisione avventata nella scelta dei brani centrali. Sono convinto che qualche episodio storico cantato in growl come “The Night And The Silent Water”, “Demon Of The Fall” o la maestosa “Blackwater Park” avrebbero letteralmente fatto crollare l’Alcatraz. Ma, ahimè, così non è stato: signori, questi sono gli Opeth del 2011, fautori di una musica sempre eccellente, ma votata (almeno per adesso) ad un lato più leggero e ricercato. Death metal o meno, chi dei presenti ama la musica e ama la band, di certo ricorderà lo show di stasera come un concerto memorabile.


Setlist:

01. Through Pain to Heaven (Intro)
02. The Devil's Orchard
03. I Feel The Dark
04. Face of Melinda
05. Porcelain Heart (with Drum Solo)
06. Nepenthe
07. The Throat of Winter
08. Credence
09. Closure
10. Slither
11. A Fair Judgement
12. Hex Omega
13. Folklore

Nessun commento:

Posta un commento