domenica 11 dicembre 2011

ICED EARTH - Dystopia

Nuovo cantante, stessa musica…

Nome Album: Dystopia
Etichetta: Century Media
Data di uscita: 17 Ottobre 2011
Genere: Thrash/Power Metal

Introduzione:

Un percorso artistico altalenante ha toccato gli Iced Earth negli ultimi anni. Tutto cominciò con la prima dipartita dello storico singer Matthew Barlow ed il conseguente arrivo al microfono dell’ex-Judas Priest Tim “Ripper” Owens. Da lì in poi, la band è stata autrice di diversi album non propriamente eccelsi ed evidentemente carenti di idee vincenti, oltre ad essere stata “vittima” dell’abbandono di Owens dopo soli due album, con successivo ritorno al microfono e secondo abbandono (per scelte di lavoro e di vita) dell’amato Barlow. Il leader Jon Schaffer, patriottico americano fino al midollo, sembra aver sofferto di questi numerosi sconvolgimenti che, senza alcun dubbio, tendono a minare l’unità di una band. Ne sono conseguiti album come il discreto The Glorius Burden (2004) o i due Something Wicked (I e II, 2007 e 2008 rispettivamente), album non memorabili. Sembra che ora il buon leader Jon abbia trovato una minima stabilità della propria band con il nuovo singer Stu Block, proveniente dai meritevolissimi death-progster canadesi Into Eternity, dando alla luce un lavoro come questo Dystopia. Tanto per essere chiari, il nuovo parto in casa Schaffer risulta intagliato negli stessi solchi compositivi delle ultime releases, non spiccando per idee particolarmente brillanti, ma, almeno questa volta, sembra esserci una maggiore compattezza anche grazie a Stu, ottimo singer ed interprete, nonché degno erede del dimissionario Barlow (ciò che invece non era stato Tim Owens). Ne risulta un album dettato dai consueti stilemi che hanno reso il sound degli Iced Earth riconoscibile ed estremamente personale: riff serratissimi e precisi, sound ficcante, furia tipicamente american-thrash, tra cui si insinuano melodie powereggianti, voci aggressive ecc… Tutto questo è anche Dystopia, un album in cui non si trovano episodi trascurabili o inascoltabili, ma in cui possiamo tuttavia trovare soluzioni artistiche che cercano in tutti i modi di colpire l’ascoltatore, senza però mai essere in grado di stupire così come ci aveva deliziato il mitico Horror Show (giusto per fare un esempio). Caro Jon, per questa volta un album come Dystopia ci sta, ti possiamo capire. Ma ora mantieni la stabilità e concentrati sul songwriting; prenditi il tuo tempo e torna a stupire davvero.


Track By Track:

La partenza dell’album è davvero buona, grazie all’incedere metallico della title-track. “Dystopia” è un brano che ricalca alla perfezione tutte le caratteristiche che hanno fatto grande il sound di questa band. L’introduzione marciante e melodica lascia presto spazio ad una serie di riff serratissimi, portandoci alla mente anche l’ultimo lavoro del progetto a firma Schaffer, i Demons & Wizards. Su tutto, si instaura la prova che attendevamo con più trepidazione e curiosità: la voce di Stu Block, il quale si dimostra subito perfetto per il ruolo, trasmettendo vibrazioni con la stessa teatralità appartenuta al giustamente osannato Matthew Barlow (la sua voce è sempre stata innegabilmente perfetta per la band). La song avanza con sicurezza e melodia, risultando ficcante in ogni suo passaggio. Il proseguimento è dato dalla chitarra pulita di “Anthem”, ancora un buonissimo brano in consueto stile Iced: i ritmi sono quelli di una simil-cavalcata lenta e possente. Ancora una volta, salta all’orecchio l’ottima prova di Block alle vocals, sempre più vicino alla timbrica di Barlow. Nonostante la struttura semplice del brano, “Anthem” scorre liscio come l’olio, con il suo incedere malinconico ed armonioso, grazie ai cori ed alle melodie di chitarra. Con “Boiling Point” giunge all’orecchio dell’ascoltatore una ficcante mazzata metallica: poco meno di due minuti per una killer-song dalle timbriche fortemente thrasheggianti e velocizzate. Doppia cassa incessante, campane, voci incazzate ed infernali, timbriche possenti, sono gli ingredienti di base che costituiscono questo piccolo gioiellino metallico. Nulla di trascendentale, ma sicuramente un brano apprezzabile da chi dal metal si aspetta una buona dose di cattiveria. Ancora una buona canzone, dall’incedere più lento e riflessivo, è “Anguish Of Youth”, dove Schaffer sembra rifarsi al passato più glorioso, richiamando sonorità e struttura della sempreverde “I Cried For You”. Ne deriva un buon brano, semplice e passionale nella strofa acustica, ruvido e melodico nel ritornello, sicuramente da annoverare come uno dei più melodici dell’album. Di seguito, assistiamo ad un calo stilistico piuttosto evidente, a partire da “V”, brano metallico dotato di un buon refrain, ma anche di una strofa e di un incedere marziale e piuttosto statico, senza alcuna innovazione nel riffing, rendendolo, in questo modo, meno appetibile rispetto a quanto sentito in precedenza. La canzone in esame non è certo insufficiente, ma manca di un buon appiglio accattivante che riesca a catturare l’attenzione a dovere. Attenzione che scema pericolosamente con “Dark City”, brano veloce e incazzoso, ma abbastanza scontato nelle scelte melodiche e nella sua struttura. Come nel caso precedente, manca un qualcosa, una qualche piccola virgola innovativa, che possa far apprezzare adeguatamente questo brano. Oltre a ciò, anche i cori e le linee melodiche sembrano essere poco incisive e piuttosto stagnanti. Interessante la parte finale, melodica e veloce, anche se poco costruita nelle sue numerose ripetizioni. Dopo questo passo falso, la situazione stenta a riprendersi ed iniziamo ad accusare quella monotonia compositiva cui ho accennato nell’introduzione: “Equilibrium” è l’ulteriore sigillo a comprova di quanto detto. Brano stagnante ed abbastanza piatto, si salva solo nella parte melodica centrale con relativo assolo. Il resto è un misto dei soliti riff Schafferiani, mischiati a vocals poco variegate e monotone. La sensazione è quella di trovarsi dinnanzi ad un classico brano nato grazie ad un buon riff o ad una buona melodia, ma poi lasciato a se stesso e sviluppato stancamente dal suo autore. I ritmi tornano a farsi davvero incalzanti con “Days Of Rage” e l’ombra dei due brani precedenti sembra dissiparsi, grazie ad una strofa ficcante e graffiante, sostenuta ad alte velocità da un buon lavoro ritmico della batteria. Tuttavia il brano, ne suoi due minuti scarsi di durata, si perde nei meandri di un ritornello fine a se stesso, piuttosto vuoto. Ciò, vista anche la sua breve durata, porta quindi ad una canzone mal costruita e, in fin dei conti, insignificante. Per chi scrive, il punto più basso dell’album. Per fortuna “End Of Innocence” è qui tra noi per farci godere ancora un po’ di buona musica, dopo i tre brani precedenti. Ancora una volta, la band mostra il suo lato melodico e melanconico, con una lenta cavalcata impostata su strofa acustica e ritornello distorto (come spesso accade in casa Iced Earth). Il risultato sfocia in un brano vincente nelle direzioni melodiche intraprese, ma fin troppo semplice ed assolutamente privo di originalità. Tuttavia, in fin dei conti, risulta piacevole e scorrevole, pur non essendo nulla di miracoloso. L’introduzione dei quasi otto lunghi minuti (in realtà sono sei e mezzo) della conclusiva “Tragedy And Triumph” richiama la marcia iniziale della title-track, introducendoci in un brano che porta, finalmente, una boccata d’aria fresca ad una tracklist divenuta piuttosto fiacca lungo il suo corso. Il brano finale di Dystopia ci presenta dei riff serrati e precisi, nella migliore tradizione ritmica della band, suonati, però, in tonalità più aperte e meno cupe, dando al brano un piglio quasi hard rock (doverosamente appesantito) nella strofa e nel bridge. Una scelta contrastata dal possente timbro vocale di Stu, strana nel contesto ma decisamente piacevole, che conduce l’ascoltatore ad un veloce ritornellone, ficcante e corale, vero punto di forza del brano ed evocativo come pochi nel corso dell’album. Dystopia si chiude qui. Si conclude bene, ma non quanto la valutazione di questo altalenante disco, inquadrabile, ancora una volta, come una transizione verso un nuovo auspicabile lavoro di alta qualità. O almeno, ci auguriamo sia così.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Tiriamo le somme: spiace dirlo, ma gli Iced Earth hanno presentato ai fans ed al mondo un album certamente più che sufficiente, ma non quanto basta per farlo rientrare, per lo meno, nella media stilistica dei lavori degli anni ’90 e primi 2000. Una piccola parte del voto va, certamente, alla produzione cristallina, ad un artwork colorato ed accattivante, in linea con le copertine dei dischi precedenti, ma soprattutto alla prestazione maiuscola dei singoli musicisti. In particolare, va sottolineata la prestazione di un ispirato Stu Block: per l’occasione, abbandona il growl e lo scream utilizzati negli Into Eternity, dedicandosi solo alla voce pulita (anch’essa comunque presente con la sua band madre), lavorando soprattutto sulle tonalità medie, sull’interpretazione e sulla teatralità, caratteristiche ereditate con vigore e perizia dal vecchio singer Barlow. Inutile dire che anche nei pochi momenti in cui si esprime su tonalità acute e più “halfordiane”, il risultato è altresì convincente (del resto, chi conosce gli Into Eternity, questo lo sa già). Jon Schaffer sciorina, come al solito, granitici riff dalla precisione pressoché chirurgica, facendo scuola a tanti chitarristi ritmici, mentre la sezione di Brent Smedley gode di una diligenza assoluta dietro alle pelli, sia in termini di velocità che di tecnica generale. Il basso di Freddie Vidales risulta spesso coperto nel mixing, in favore delle ritmiche del leader Schaffer, mentre la sezione solistica, ad opera di Troy Seele, gode di buona salute, senza spiccare particolarmente per assoli magistrali. Certo, parlare di Iced Earth significa parlare di una band dove la stabilità non è certo di casa, ma già il fatto di avere nelle fila un singer come Stu, garantisce già un ottimo punto di forza per il futuro. Salviamo, quindi, qualche buona traccia ed accantoniamo quindi questo Dystopia;  mentre ci riascoltiamo lavori esemplari, come Something Wicked This Way Comes o Horror Show, rimandiamo ancora una volta gli Iced Earth ad un futuro, speriamo non molto lontano, più roseo e degno del passato di questa band americana.


Tracklist:

1. Dystopia
2. Anthem
3. Boiling Point
4. Anguish of Youth
5. V
6. Dark City
7. Equilibrium
8. Days of Rage
9. End of Innocence
10. Tragedy & Triumph


Voto: 6,5/10

1 commento:

  1. Quasi quasi lascio perdere... ero rimasto troppo estasiato ascoltando Horror Show :)

    E.

    RispondiElimina