domenica 21 novembre 2010

AVENGED SEVENFOLD - Nightmare


Quando un illustre ospite non basta…

Nome Album: Nightmare
Etichetta: Warner Bros Records
Data di uscita: 27 Luglio 2010
Genere: Alternative Metal/Heavy Metal

Introduzione:

Avenged Sevenfold. Al solo pronunciare il nome della band americana, tre quarti della popolazione metallara italiana sente brividi di disprezzo e disgusto. Pare, infatti, che i bei ragazzoni americani siano particolarmente disprezzati nel nostro paese, forse per quella loro tendenza modaiola e d’immagine, che li vuole rappresentare come emo-metal-core band. E, forse, così un po’ sono partiti, con un paio di album di metalcore, se vogliamo, adolescenziale, melodico, ruffiano e graffiante, affiancato spesso da pesanti parentesi punk-hardcore (sentire la canzone Streets per averne un’idea). Dopo, quindi, album non indispensabili al popolo metallico, ma comunque validi, ci sorprendono nel 2005 con City Of Evil: album davvero notevole, che inizia a mescolare metal più “maturo”, molta classe e tecnica, con una consueta attitudine glam-emo-punk. Il successore è l’omonimo del 2007, che tenta di seguire le orme del buonissimo predecessore, senza, però, riuscire ad incantare nella giusta maniera. Ed ora, dopo la recente e prematura scomparsa dell’ottimo batterista The Rev, la band si ripropone con questo altalenante Nightmare, album dedicato proprio alla memoria del suddetto mancato batterista. Chi sono, quindi, gli Avenged Sevenfold del 2010? Una band americana consapevole di avere alle spalle un glorioso successo, ma che non sembra tuttavia mai in grado di brillare come potrebbe. Infatti, anche questo nuovo parto discografico sembra confermarlo: vi sono incluse canzoni che risultano, fin dal primo ascolto, troppo dispersive e pretenziose, quasi fossero alla ricerca costante, in modo forzato, di un riff che faccia colpo, che sappia essere catchy. Riff che, però, stenta ad arrivare, o meglio arriva e non conclude, riducendo quindi il disco ad una massa di numerose (brutte) idee mal amalgamate tra di loro. Qualcosa di buono c’è, è innegabile, ma sembra già che il buon flusso creativo della band si sia esaurito con i primi 3 album. Mi auguro di sbagliare, perché tecnicamente la band è validissima e potrebbe essere in grado di stupirci ancora, cosa che, francamente, non è riuscita a fare in questo nuovo lungo album. Passiamo quindi all’analisi precisa del disco.


Track By Track:

L’album esordisce, paradossalmente, con una delle due migliori canzoni del platter, la buona title-track “Nightmare”. Buona la partenza lenta, con melodie oscure e decadenti, che sfocia subito in un pesante e lento riff di matrice thrash-southern. Il ritornello è melodico ed azzeccato. Ottimi intermezzi centrali e assoli condiscono questa song, che, pur non essendo nulla che faccia gridare al miracolo, innegabilmente fa sperare in un buon ritorno della band. Tuttavia, da qui in avanti, le aspettative verranno negate. Infatti, già con la successiva “Welcome To The Family”, si intravedono idee scarse e prive di mordente. L’incedere è ancora affidato ad un mid-tempo, e ben presto compare un ritornello ruffiano e melodico, quasi “collegial punk-oriented”, come varie volte troviamo nella loro discografia. Nonostante il pezzo sia piuttosto scontato, si lascia ascoltare. Il primo vero e totale flop è la seguente “Danger Line”: non lascia alcuno spazio ad idee interessanti o a qualche soluzione ben arrangiata. Tutto suona in modo assolutamente banale, trascinato e senza un minimo di emozione. Imbarazzante e decisamente fuori luogo l’intermezzo pianistico (compaiono perfino delle trombette!), che prosegue fino alla fine del brano. Come se non bastasse, le linee vocali di M. Shadows rendono il tutto ancora più piatto. In poche parole, un brano scialbo ed insignificante. E l’ora della prima (semi) ballad del disco: “Buried Alive”. Per quanto concerne la struttura del brano, sembra quasi che la band voglia rifarsi alle leggendarie One o Fade To Black dei Metallica. Infatti, abbiamo una prima ottima parte melodica, lenta, dolce, arpeggiata ed ispirata, accompagnata da un ritornello distorto più energico. Peccato che, in questo caso, la successiva parte “metal” risulti un po’ scontata, monotona e con poca inventiva, arrivando a privare l’intero brano dell’etichetta di “buona canzone”. La successiva “Natural Born Killer” è il brano più veloce e thrasheggiante del disco. Una canzone in classico stile Avenged. Ottima la partenza, così come l’arrangiamento nell’assolo di chitarra, ma per il resto è un susseguirsi, ancora una volta, di (poche) buone intuizioni miscelate, senza un’apparente logica, ad altre idee confuse. Un brano, quindi, che avrebbe potuto essere sviluppato in una maniera decisamente più ispirata. Piuttosto insipida la successiva ballad melodica “So Far Away”: ancora una volta, fronteggiamo un brano che, pur lasciandosi ascoltare, nasconde delle buone idee che sembrano, purtroppo pigramente, non essere in grado di esplodere e farsi valere. Assistiamo ad una buona ripresa nella parte finale, ma il suo contributo non basta per apprezzare totalmente quest’altro episodio altalenante. Un’elementare introduzione di chitarra pulita ci introduce a “God Hates Us”, che esplode in un riff veloce e cattivo. In questa canzone ricompare il vecchio growl di M. Shadows, abbandonato dopo i primi due dischi. Il brano prosegue su binari di stampo thrash-core americano (a tratti, sembra quasi che la band tenti di scimmiottare i Pantera, con delle insipide convulsioni chitarristiche), rappresentando un episodio solo sufficientemente riuscito e, in fin dei conti, piuttosto fine a se stesso ed insignificante per rialzare le sorti del disco. Come se ciò che abbiamo sentito fin’ora non bastasse, la band ci propina in seguito ben 3 (!) ulteriori canzoni lente, la cui qualità è messa in dubbio da idee trascinate e spesso banali: pare quasi che la band sia esausta e convinta di aver dato al proprio popolo tutto ciò che di meglio potesse offrire, tirando fuori così dei brani assolutamente stanchi e scialbi. Il terribile trittico è rappresentato da: 1- “Victim”, eccessivamente melodica, si trascina per ben 7 lunghi minuti e 30 secondi, non aggiungendo nulla di nuovo al disco, se non un’ulteriore prova che la band è decisamente carente di idee valide. Lo stampo del brano è quasi orientato su un soft-pop-rock radiofonico. Ennesimo passo falso decisamente trascurabile. 2- “Tonight The World Dies” si protende stancamente sulla falsa riga del brano precedente. Inutile dire che arrivati a questo punto la noia prevale su ogni altra piccola speranza di poter sentire qualcosa di veramente valido. 3- “Fiction”, brano atipico e davvero strano. Trattasi di un brano scritto dalla scomparso batterista The Rev, completamente pianistico, a tratti angosciante, tra partiture pop, e altre parti più oscure. Ok, cari Avenged, ammiriamo il coraggio di rischiare nell’inserire un brano così particolare, ma il problema è stato averlo inserito in una tracklist già abbondantemente minata e superflua, addirittura dopo due ballad consecutive. Però, al di là di questo, il problema vero è che il brano è assolutamente inconcludente e, come molti altri, si disperde nella sua incoerenza, e conclude le danze lasciandoci l’amaro in bocca. Siamo alla fine, l’ultimo brano dell’album: la lunga (11 minuti di durata) “Save Me”. Finalmente un ottimo brano, che, incredibilmente, colpisce e non stanca. Ma ormai (e per fortuna) siamo alla fine di questo lungo disco. La suite, nella sua lunghezza, mostra finalmente buonissime idee. Pezzi più pesanti si alternano con parti quasi sinfoniche e con partiture classiche nel sound del gruppo. Notevoli le accelerazioni nella sezione degli assoli, seguiti a ruota da una parte in cui sentiamo un Mike Portnoy finalmente ispirato, che richiama moltissimo il suo modo personalissimo di suonare nei Dream Theater. Una parte finale più lenta ed ispirata chiude la song e l’intero album. Peccato che il resto dell’album non sia all’altezza di quest’ultimo episodio.        


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Eccoci alla fine di questo faticoso disco. C’è una cosa da segnalare: l’ospite (ora come ora, a quanto pare, componente fisso) scelto per rimpiazzare il rimpianto The Rev dietro le pelli, è Mike Portnoy, già arcinoto per le sue prestazioni nei progster Dream Theater (che non hanno certo bisogno di presentazioni). Chi conosce Portnoy sa bene che egli non ha certo difficoltà a rapportarsi al modo di suonare dello scomparso The Rev, che era pur sempre un ottimo batterista, con elevato gusto e qualità tecniche. Ma, va detto, la prestazione di Mike, in questo disco, non è assolutamente degna della propria fama e delle proprie abilità. Forse, da lui ci si aspettava decisamente di più. Altra nota di demerito, come già detto, va al singer M. Shadows: la sua voce non brilla di particolari doti tecniche, ma è vincente sul lato carismatico. E’ una caratteristica voce sporca, alta e dal taglio “sleazy” (mi spiego?!), ma si adagia, purtroppo, su delle linee vocali spesso piatte, monocorde e in fin dei conti molto ripetitive. Detto questo,il tasto più dolente resta il pesante macigno del songwriting, come già detto, confusionario e carente di buona inventiva. Tant’è che anche là sopra non sono riuscito a definire un genere preciso, canalizzando tutto in un eloquente ma, ahimè, dispersivo “heavy metal” (in fondo, tutto deriva da lì, no?). Per il resto la band viaggia su produzione buona, ottimi livelli tecnici, come nel caso del chitarrista solista Synyster Gates, o del già citato ospite d’eccezione Mike Portnoy (c’è bisogno di ricordare che tecnicamente è un mostriciattolo?). L’immagine di copertina è molto interessante ed ovviamente adeguata al titolo dell’album, ma non basta a risollevare le sorti di un disco fragile, così come non sono sufficienti solo 3 o 4 canzoni buone su undici tracce totali. Dobbiamo avere ancora fiducia nella band, c’è da sperare che non si montino la testa più del dovuto (o più di quanto non abbiano già fatto), e che riescano a sfoderare un lavoro qualitativamente superiore a questo Nightmare, il quale, credo con sincerità, in futuro girerà raramente nel mio lettore mp3. Nell’attesa della svolta, torno ad ascoltarmi City Of Evil… o magari i Dream Theater.


Tracklist:

01. Nightmare
02. Welcome To The Family
03. Danger Line
04. Buried Alive
05. Natural Born Killer
06. So Far Away
07. God Hates Us
08. Victim
09. Tonight The World Dies
10. Fiction
11. Save Me


Voto: 5,5/10

5 commenti:

  1. Concordo con te Fil,....Tecnicamente si sente che potenzialità ne hanno sempre,....è quel retro gusto emo-metal-core che stona,....poi vabbè che i miei gusti tendono a growl e scream ma come voce pulita manca di originalità....

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  2. È da dire che la voce pulita, quando è fatta bene spacca più di un growl, ma in quest'album proprio non ci siamo.
    Non l'ho neanche ascoltato tutto: sono arrivato solo alla terza traccia e poi le mie dita hanno premuto il tasto di stop senza neanche farmici pensare.
    Sarà che mi sono stati sempre sulle balle XD

    Ma la vera nota di merito va al Fil, che si sta rivelando un ottimo recensore ;-) Continua così!

    E.

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  3. Certo sarebbe bello che quella pippa (XD) di Alexander seguisse anche Emanuele Secco's Blog... mi scuso per la pubblicità XD

    E.

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  4. Già, in fondo le linee vocali secondo me hanno sempre penalizzato un po' gli Avenged.. Grazie secco per il complimento, mi fa molto piacere ;)

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