domenica 25 settembre 2011

DREAM THEATER - A Dramatic Turn Of Events


Stravolti dai cambiamenti…in meglio.

Nome Album: A Dramatic Turn Of Events
Etichetta: Roadrunner Records
Data di uscita: 13 Settembre 2011
Genere: Progressive Metal

Introduzione:

Sembra incredibile come i Dream Theater siano divenuti, negli ultimi tempi, il caso mediatico più seguito in tutto il mondo metal. Diciamocelo, da un anno a questa parte non si è fatto altro che parlare di loro. Che sia per lo scioccante abbandono di Portnoy, per la soap-opera che ci hanno propinato negli ultimi mesi per il fatidico cambio di batterista, che sia per il nuovo materiale in arrivo, ognuno ha avuto di cui dire, ridire, criticare, osannare, denigrare e via dicendo. E quindi eccoci qui, con questo nuovo A Dramatic Turn Of Events tra le mani. Che ne sia valsa la pena sorbirci tutta la precedente diatriba giornalistica? Beh…basta dire che probabilmente i DT non costruivano un album così valido dal lontano Train Of Thought (2003). Non mi permetterei ad azzardare ipotesi troppo scomode, ma direi che il cambio di rotta intrapreso dalla band (mi riferisco al cambio dello storico drummer e fondatore\mattatore Mike Portnoy con il superbo Mike Mangini) ha giovato non poco alla musica del quintetto. Certo, è ancora presto per poterlo dire, poiché bisognerà aspettare il futuro per sapere con quale avidità Mr.Mangini porrà le proprie mani sulla composizione, ma, per una volta, ammetto, è bello non sentire l’ingombrante batteria di Portnoy che nell’ultima decade ha spesso preso piede sulle singole canzoni, prevaricando su armonie e melodie, rendendo tronfia e pesante la proposta degli americani. Quindi è bello sentire un album forse più melodico e meno impostato sui tecnicismi esasperati, completo, ricco di sfumature variegate, ricco di pathos musicale, di gran classe. Un album che comunque, per dovere di cronaca, suona al 100% DT. Non ci sono grosse novità stilistiche al suo interno, rispetto alla consueta proposta del gruppo, ma la volontà di reiterare un certo mood del passato, lo porta a pescare spesso e volentieri atmosfere da quei capolavori quali Images & Words (1992) e Scenes From A Memory (1999), gli album più belli e più melodici in assoluto della band, in cui i DT raggiunsero livelli di creatività difficilmente ripetibili. ADTOE è un album dove, quindi, predominano la melodia e l’atmosfera di chitarre e tastiere, dove la batteria finalmente è meno accentuata, sia nei volumi che nelle composizioni, e che rappresenta un importante spartiacque per la più grande prog metal band al mondo. Non me ne abbia a male Portnoy, che resta sempre un ottimo batterista ed un gigante dello strumento, ma probabilmente il suo zampino avrebbe portato, ancora una volta, ad un disco comunque buono, ma prolisso e ponderoso. Attenderemo l’esito di Mr.Mangini nel songwriting, ma intanto suggerisco a tutti di godersi questo fortunato ritorno, finchè, nel frattempo, continua indisturbata la saga/telenovela mediatica Portnoy VS Dream Theater…


Track By Track:

Già da vario tempo prima della pubblicazione dell’album era stata rilasciata su Youtube “On The Backs Of Angels”, singolone dai toni altisonanti ed ottimo brano di apertura di ADTOE, riproposto anche dal vivo nel mini-tour “A Night With Dream Theater” con Gamma Ray ed Anathema. Il brano in questione presenta una struttura molto simile a “Pull Me Under” (cavallo di battaglia datato ’92) ma, allo stesso tempo, gode di un’atmosfera lugubre ed oscura già a partire dall’introduzione acustica, che esplode poi in un riff in cui si affollano maestosi tappeti corali. Una classica strofa sincopata ed un ritornello lento ed ammaliante costituiscono i cardini di una canzone forse non subito immediata, ma riuscita e perfetta nel presentare i “nuovi” DT. L’ottimo assolo di Petrucci si snoda su un impianto melodico tutt’altro che asettico, aggiungendo valore al brano. Beat elettronici, introduzione vicina al nu metal, e già con “Build Me Up, Break Me Down” i toni cambiano, presentandoci una canzone che, in fin dei conti, risulta discreta se confrontata con il resto della tracklist. I ritmi si fanno quindi lenti e di stampo alternative, con un perfetto groove assicurato nelle strofe, e il ritornello sfocia in grandi melodie accompagnate da un lieve sussurro sinfonico. Bellissima l’inquietante parte intermedia con cori, organi ed un altro assolo di Petrucci dalla grande caratura. La lunga coda sinfonica finale ci introduce a quello che, indubbiamente, è il brano più controverso di tutto l’album, nonché quello più vicino alle produzioni più recenti, ovvero “Lost Not Forgotten”. Non fatevi ingannare dall’introduzione pianistica: non si tratta di una ballad, anzi. Nei dieci minuti della sua durata si sente di tutto, dall’introduzione che omaggia alla grande l’intramontabile “Under A Glass Moon”, a riff pesanti e sincopati nella strofa (fa capolino il sentore della recente “A Rite Of Passage”), con alcuni spezzoni di tecnicismi esasperati classici del sound moderno della band. Il discreto ritornello in doppia cassa, i numerosi stacchi tecnici e la sua particolare strutturazione, ne fanno un brano riuscito solo a metà, meno immediato dei restanti, senza nulla togliere alla parti melodiche, con annesso assolo di Petrucci, sempre ottime e di qualità. Segue un grande pezzo, la ballad “This Is The Life”, su musica interamente di Petrucci. Dinamico e coinvolgente, questo brano strappalacrime ha dalla sua parte momenti davvero toccanti, come solo i Dream Theater sanno fare con i loro lenti. Anche il testo sprigiona belle parole di speranza. Confrontandole con le grandi ballad del passato, “This Is The Life” non ha nulla da temere contro “Another Day” o “The Spirit Carries On”: risulta un eccellente pezzo carico di emozioni, alla faccia di chi addita i DT come band fredda e dedita al puro tecnicismo fine a se stesso. Balle, sentire per credere. Suoni oscuri, cori soffusi ed evocativi, un eco lontano di uno sciamano: è il momento di uno dei migliori brani dei DT del nuovo millennio, ovvero “Bridges In The Sky”, che si distende per 11 minuti attraverso ottimi momenti di progressive metal. L’aggressiva introduzione richiama la pesantezza sonora degli ultimi dischi (Train Of Thought su tutti), ma ben presto LaBrie ci conduce deciso in un refrain melodico in crescendo, e dopo un valido intermezzo con Petrucci e Ruddess assoluti protagonisti a suon di assoli, il brano raggiunge l’apice dell’espressività nei minuti finali, grazie anche ad un ispirato LaBrie, capace ancora di emozionare. Ancora un brano lungo (del resto, negli anni i DT ci hanno abituati a questo) con “Outcry”: impostato su melodie lente ed evocative, si snoda tra riff più aggressivi ed un refrain pregno di pathos. Spiace dirlo, ma stavolta il lungo intermezzo zeppo di tecnicismi, non rende assolutamente e pare che molti pezzi al suo interno non abbiano collegamento l’uno con l’altro. Ciò fa perdere il filo logico del brano stesso, in cui probabilmente, una maggior riduzione sul lato virtuosistico avrebbe giovato non poco all’economia del brano. Poco male, perché ci penserà una splendida tripletta a concludere questo buonissimo come back degli americani. “Far From Heaven” è una delicata ballad pianistica, lenta e struggente come poche. Pianoforte e violino assoluti protagonisti, in un crescendo memorabile ed emozionante. Come sempre, perfetto LaBrie nell’interpretazione, per un delizioso intermezzo destinato a chi apprezza la musica in tutte le sue forme. “Breaking All Illusions” si aggiudica la palma del miglior brano del disco e, come “Bridges In The Sky”, di una delle più belle composizioni dei DT dell’ultima decade. Contrariamente alle altre suite del disco, “Breaking All Illusions” si impone già dinamica e ricca di intrecci chitarristici e tastieristici davvero geniali e ricercati. Dopo questa introduzione, il ritmo si placa, trascinando il brano attraverso 12 minuti di puro prog metal “theateriano”. Delizioso il ritornello, il più bello dell’album, melodico e ricco di pathos atmosferico, emozionante ad ogni nota. Decisamente azzeccati anche i vari stacchi strumentali centrali, in particolare una bizzarra e divertente sezione di stop’n’go ed uno splendido assolo di Petrucci su un lieve tappeto progressive rock (con tanto di hammond in sottofondo). Inutile descrivere a parole un brano così ricco di dettagli e di sfumature stilistiche, lascio a voi l’emozionante ascolto. Come se non bastasse, i Dream si congedano con un ulteriore brano splendido, la terza ballad “Beneath The Surface”. Ancora una volta, la batteria non è presente, lasciando la scena a chitarre acustiche e soffuse orchestrazioni, che intelaiano una song dolce e cullante, grazie alle sue melodie pop (si…pop. Non vi fermerete ancora davanti a certi pregiudizi vero?!) e ad un LaBrie sussurrante ed ispirato. Provateci adesso a dire che i DT sono freddi e senza cuore. Una ballad estremamente piacevole ed emozionante quindi, con cui i DT ci salutano e ci invitano all’imminente tour di supporto all’album. Un grande ritorno di una band sempre validissima ed ancora in grado di stupire.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Credo che commentare le capacità dei singoli musicisti sia un’operazione piuttosto superflua, visto il costante bagaglio tecnico che la band si porta dietro da inizio carriera. C’è ben poco da aggiungere, se non che siamo in possesso di un album decisamente sopra la media degli ultimi standard. Certo, non tutti i pezzi sono totalmente appaganti o riusciti, ma, nel complesso, riuscire a costruire un’opera del genere non può che far meritare tutto il nostro rispetto. Un lodevole plauso va a Petrucci, a suo agio con assoli meno spietati e più melodici, sempre ottimi ed indirizzati verso indiscutibili abilità tecniche. Ruddess dietro al sintetizzatore è in grado finalmente di coprire il suo ruolo senza strafare con le sue spesso inutili trovate degli ultimi anni (il fastidioso continuum finalmente è stato drasticamente ridotto), regalando invece dei possenti tappeti sinfonico-corali pregevoli, nonché buonissimi solos e delle sempre ricche prestazioni al pianoforte. LaBrie pensa ai live shows e, giustamente, vuoi per l’età che avanza, vuoi per l’intervento alle corde vocali di parecchi anni fa, prosegue sullo stile vocale degli ultimi album, compresi i suoi lavori solisti: assenza di acuti, linee morbide ma con un pizzico di aggressività in più nel proprio timbro, tonalità spesso medio-basse. Ciò non toglie assolutamente vigore ai brani, rimanendo infatti un ottimo interprete (e comunque, sappiamo bene che dal vivo riesce a dare il meglio anche sui brani più datati). La sezione ritmica è lasciata un po’ in disparte nel mixing finale. Una scelta voluta e decisamente azzeccata, per dare più spazio a melodie ed atmosfere a scapito di virtuosismi esagerati e ritmiche troppo ingombranti. Nonostante ciò, dando la dovuta attenzione, si potrà notare l’ottimo lavoro al basso di John Myung e alla batteria della new entry Mike Mangini. Non esaltante ma come sempre enigmatica è l’immagine di copertina, in classico stile DT (stesso disegnatore), il cui significato richiama, assieme alle liriche dell’album, il disequilibrio dell’uomo sulla corda, il rischio di cadere ben presto nella follia del progresso, o meglio, del “degresso”. Trasponendo il tutto in una chiave di lettura leggermente diversa, su quella corda i Dream Theater ci sono ancora, capaci di tener fede al valore delle proprie idee e della propria musica (occhio, quest’ultima frase è un po’ “prog”).


Tracklist:

01. On The Backs Of Angels
02. Build Me Up, Break Me Down
03. Lost Not Forgotten
04. This Is The Life
05. Bridges In The Sky
06. Outcry
07. Far From Heaven
08. Breaking All Illusion
09. Beneath The Surface


Voto: 8/10

8 commenti:

  1. Posso solo dire che questo, per il mio modesto parere di ascoltatore (non fan XD non sono ancora arrivato a definirmi come tale) dei dream, è senz'altro il miglior album da un po' di tempo a questa parte.
    Far from heaven sta senz'altro surclassando Whiter per quanto riguarda i miei momenti di scrittura :-) Senza parlare della carica data da Build me Up, Break me Down (da live).

    E bravo il nostro Fil, non mi stupirei se un giorno il tuo lavoro diventasse quello di recensore; magari con una buona scorta di sassi e minerali da leccare sulla scrivania, ricordando i bei tempi di geologia ^^

    E.

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  2. E comunque sembra che Petrucci e Rudess con l'età abbiano scoperto il valore della melodia ^^ ^^ ^^

    E.

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  3. Guarda Secco, ci metterei la firma! XD van bene i sassetti, ma sarebbe più appagante fare il recensore XD cmq grazie per i complimenti, mi fanno piacere e mi spingono a continuare il blog :) e finalmente Rudess l'ha capita! :D

    Per Cesco: si, decisamente un ottimo disco!

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  4. Shi!!!!! sei sempre bravo a scrivere qualsiasi cosa :*

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  5. bravo Fil! Era da un po' che non leggevo il tuo blog, non avendo tempo, e ti devo fare i complimenti :)
    Come dice il Secco, ti ci vedrei anch'io a fare il recensore (con i sassetti ovviamente :P), scrivi bene! :)
    (P.S.: chissà perché i commenti della Marghe si riconoscono... xD)
    Un bacione ragassi!!! :)

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  6. @Marghe: grassieeeee amore! :*

    @Lola: Grazie mille Lola! Capita a volte che le passioni diventino un lavoro, ma ci vuole determinazione, sacrificio e soprattutto una botta di culo XD grazie mille di cuore comunque! Si hai ragione, la Marghe è riconoscibile! :D
    A presto! ;)

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  7. e grandi i dream theater, fanno sempre del loro meglio!!!

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