domenica 10 giugno 2012

DRAGONFORCE - The Power Within


THE POWER WITHIN

Etichetta: Electric Generation Records
Data di uscita: 16 Aprile 2012
Genere: Melodic Power Metal

Introduzione:

Volenti o nolenti, li conosciamo tutti. Questa band di cui mi accingo a parlare ha visto crescere la propria popolarità in maniera esponenziale negli ultimi dieci anni; che sia per le velocità ultrasoniche proposte, per gli assoli esagerati e spesso fuori contesto, per la loro concezione più aerobica che musicale del concerto, i britannici Dragonforce non sono mai stati particolarmente stimati dalla critica internazionale, riscontrando, tuttavia, apprezzamenti sempre più cospicui dagli ascoltatori di power metal, ma non solo. La band del pepato chitarrista Herman Li ha di recente affrontato l’abbandono dello storico frontman ZP Theart, che ha lasciato il gruppo nel 2010. A quattro anni di distanza dal discutibile “Ultrabeatdown”, tornano in campo nuovamente, con gli stessi ingredienti di sempre. Ma qualcosa è cambiato, in meglio: già dando un’occhiata al minutaggio, ci si rende conto che gli sbrodoli di 8-9 minuti, praticamente d’obbligo in ogni uscita post “Valley Of The Damned” (lo stupendo esordio del 2003), non sono presenti. Ebbene, ciò che potrebbe essere solo un semplice aspetto di secondo piano, si rivela una parte importante di quelli che sono i nuovi Dragonforce: “The Power Within” è di gran lunga il miglior lavoro partorito nell’intera storia della band, al pari dell’esordio. Rimangono le melodie curatissime, rimane la potenza e l’impatto delle chitarre; la supervelocità c’è ancora, ma solo in alcuni brani. Assieme a tutto ciò, notiamo la presenza di solos più ragionati, di una riduzione drastica di comiche keyboards alla Supermario, e la presenza di un paio di graditissimi mid-tempos; davvero una sorpresa per chi conosce bene la band britannica. Insomma, i Dragonforce sono cresciuti, si sono ridimensionati. Hanno aspettato quattro anni per ricaricare bene le batterie e per riorganizzare al meglio le idee, confluendo tutta questa nuova energia nel nuovo disco. Ora finalmente, con queste nove canzoni, sono degni di essere esaltati anche dalla critica e di essere apprezzati in toto per ciò che suonano, ovvero un elettrizzante power europeo, non sempre originale, non sempre eccezionale, ma estremamente melodico e potente, come è giusto che sia. In tutto ciò, una buona dose d’attenzione è posta su Marc, il nuovo giovane singer, che, a dirla tutta, non fa rimpiangere nemmeno per un attimo il discreto ZP, un cantante che non è mai riuscito a brillare nella musica del combo; ora, invece, anche il cantante ha un ruolo di spicco nella band. Bentornati Dragonforce, questa volta avete sorpreso positivamente!


Track by Track:

Qualche epica melodia e acuti su tonalità altissime introducono “Holding On”, il primo brano dei nuovi Dragonforce. La velocità di esecuzione del brano è davvero elevata, come i Dragonforce stessi ci hanno abituati negli anni passati, ma fin da subito notiamo che le sezioni strumentali inutili e ripetitive sono state drasticamente ridotte, dando finalmente giustizia al tocco supersonico della band. Finalmente riusciamo ad apprezzare meglio la potenza del gruppo, grazie ad una song energica ed accattivante, sia nelle strofe che nell’arioso refrain. Spicca l’esecuzione folle del drummer Dave e la convincente voce della new entry Marc. Un ottimo biglietto da visita, che lascia spazio alla successiva ancor più bella “Fallen World”, non troppo originale, ma epica nelle sue melodie e dallo stile inconfondibilmente Dragonforce, tra blast-beats e fraseggi velocissimi. Il ritornello è melodico e piacevolissimo, nella tipica tradizione power, grazie anche alle ottime linee vocali di Marc. Fin qui, nonostante lo stile sia ancora inevitabilemente legato al passato, il tutto è reso più scorrevole, grazie a minutaggi drasticamente ridotti e a partiture strumentali e virtuose più concentrate e finalizzate. Arriva la prima sorpresa con “Cry Thunder”, brano anticipato da un videoclip. Si tratta di un mid-tempo, allegro e saltellante, in cui Herman Li e soci si destreggiano bene tra curatissime melodie di chitarra pseudo-folkeggianti. Un brano indubbiamente privo di idee geniali o troppo originali, ma degno comunque di essere ricordato nella discografia del gruppo. La forza di questo mid-tempo sta nelle melodie fresche e scintillanti e nel buon refrain, creato appositamente per la dimensione live. Dopo questa gradita sorpresa, si torna a pestare l’acceleratore, questa volta in maniera meno estrema e virulenta, con un classico brano power europeo: “Give Me The Night”, nonostante un titolo dal sottofondo glam, riesce a convincere, ma non a stupire. Le chitarre sono perfette nei loro veloci e tecnici riff, così come le convincenti strofe ed il ritornello melodico e ruffiano garantiscono quattro minuti e mezzo piacevoli e godibili. Molto interessante la parte centrale, con accordi più lenti e cadenzati, prima di un bellissimo assolo di chitarra. Un delicato pianoforte introduce quella che apparentemente sembrerebbe una ballad: nulla di più sbagliato, perché “Wings Of Liberty” è in realtà un’altra bordata di power metal epico e velocissimo. Ritengo che i Dragonforce non abbiano mai creato un brano così intenso come questo; tutto suona incredibilmente potente ed è al posto giusto. Le melodie, la voce, l’accattivante incedere del brano, gli stacchi puliti, gli assoli: tutto ciò contribuisce a creare quello che ritengo essere il brano più bello in tutta la discografia della band. Probabilmente, a molta gente sembrerà un classicissimo brano power, ma “Wings Of Liberty” possiede qualcosa in più, un mood fresco e accattivante, capace di dare speranza e forza interiore anche al più depresso dei metallari. Bellissimo anche il curatissimo assolo centrale. Un brano di musica eccellente, consigliato a chi è in cerca di felicità e di voglia di vivere. Il successivo, è un altro ottimo brano che testimonia la rinnovata freschezza della band: “Seasons” si presenta come un altro mid-tempo graffiante e convincente fin dal primo ascolto, grazie a strofe aggressive e dirette e ad un refrain coinvolgente e passionale, dove Marc si adagia su linee vocali morbide e baritonali, ma perfette. Azzeccato l’intermezzo potente e melodico, prima di un perfetto e gradevole scambio solistico tra le chitarre e la tastiera. Il fading del brano ci porta alla successiva “Heart Of The Storm”, dove i Dragonforce ritornano a velocizzare la loro proposta, con un power metal veemente e repentino. Nonostante gli intenti delle ottime strofe ed i bei solos, il ritornello fatica a decollare, così l’intero brano tende ad assomigliare a tante vecchie canzoni del gruppo senza presentare molta varietà stilistica e senza il giusto mordente, presente maggiormente nei primi brani del disco. Dopo questo classicissimo brano alla Dragonforce, la band si ripropone con un altro brano power, meno veloce ma sempre infuocato, che perlomeno presenta però qualche spunto più interessante: “Die By The Sword” non gode di un refrain eccellente, ma ha dalla sua parte degli interessanti arrangiamenti di chitarra, delle strofe precise e convincenti ed uno stupendo intermezzo lento e malinconico, con un intervento solistico emozionante e particolarmente sentito, prima della spiazzante ripresa di velocità che conduce al finale. Dopo un brano degno di nota ma non trascendentale, arriviamo al finale con “Last Man Stands”. Nella breve introduzione di tastiere pare quasi di sentire i Linkin Park più elettronici e recenti (scusate l’ingombrante paragone), ma le cose virano ben presto verso un canonico power melodico e arioso, pregno di positività e speranza: del resto, i Dragonforce sono anche questo. Al di là della canonicità del pezzo, “Last Man Stands” non esagera con la velocità e gode di un buon refrain melodico e di un ottimo e perfetto crescendo solistico dei chitarristi e del tastierista. Arriviamo così agli acuti finali, che concludono degnamente questo ritrovato spirito della band britannica, esposto nei nove brani di questo pregevole come-back discografico. Delle varie bonus-tracks dell’edizione speciale, cito solamente la versione acustica di “Seasons”, un piccolo gioiellino in grado di far risaltare ancor di più arrangiamenti e melodie del pezzo originale.


Considerazioni Conclusive:

Colpo centrato per il combo britannico. Dopo un album piuttosto deludente, sotto molti aspetti, come “Ultrabeatdown”, TPW riesce a risollevare le sorti di una formazione che negli anni ha cercato di portare perlomeno una ventata nuova nel power, introducendo velocità d’esecuzione al limite dell’umano e suoni spesso grotteschi. Non si può nascondere che la monotonia nei loro pezzi stava iniziando a prendere il sopravvento; l’eccesso iniziava a diventare un irrinunciabile vezzo che andava inevitabilmente a soffocare la composizione e la qualità della musica. Per fortuna, ora sembra che Herman Li abbia finalmente capito che non serve essere così eccessivi per poter essere ricordati. Infatti l’operato suo e di Sam Totman alle chitarre si impone, come sempre, con potenza e precisione tecnica nelle complesse partiture ritmiche, mentre nei solos qualcosa è cambiato rispetto al passato; più melodia, più ricercatezza e meno miliardi di note sbrodolate a caso in una battuta. Perfino il basso di Frederic Leclercq assume un ruolo fondamentale e in moltissime occasioni funge da collettore tra un riff e l’altro attraverso repentini fraseggi di basso, che lasciano intendere una buona capacità tecnica (mai particolarmente dimostrata nel power melodico). Altro punto chiave è la tastiera: i suoni ridicoli pseudo-videogame anni ’80 sono praticamente scomparsi. Al loro posto i tappeti sinfonici e pianistici diventano maturi e fondamentali, senza scordare qualche ottima prova solistica, il tutto ad opera di un ispirato Vadym Pruzanov. Non si notano grandi differenze nel drumming di Dave Mackintosh, sempre preciso, dinamico e velocissimo, essenziale per gli intenti del gruppo. Le luci sono però tutte puntate su Marc Hudson, un classico power-metal-singer, dotato di tecnica, carisma, di estensione e del giusto calore esecutivo. La differenza con la sterilità di ZP si sente; Marc ha indubbiamente portato un’ulteriore grammo di freschezza nella band. La produzione è perfetta per la proposta: potente ma anche lievemente aggressiva nel suono delle chitarre, mentre sul versante artwork, la band dovrà ancora lavorare: così come molte precedenti, anche la copertina di TPW è davvero insignificante. Ma è il songwriting a fare davvero la differenza: tutto suona più equilibrato e ridimensionato, con una qualità compositiva in molti casi davvero matura ed elevata. Insomma, c’è molto di cui sperare per il futuro dei Dragonforce, ma intanto godetevi senza remore questo nuovo piccolo gioiellino del power moderno.


Tracklist:

01. Holding On
02. Fallen World
03. Cry Thunder
04. Give Me The Night
05. Wings Of Liberty
06. Seasons
07. Heart Of The Storm
08. Die By The Sword
09. Last Man Stands


Voto: 8/10

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