domenica 24 giugno 2012

PATHFINDER - Fifth Element


FIFTH ELEMENT

Etichetta: Sonic Attack Records
Data di uscita: 26 Maggio 2012
Genere: Symphonic Power Metal

Introduzione:

Tornano in pista i Pathfinder, una giovane band ancora poco conosciuta proveniente dalla Polonia, che sfodera il suo secondo disco in carriera e secondo capitolo di una saga fantasy iniziata con il buonissimo esordio “Beyond The Space, Beyond The Time” del 2010. Per chi non li conoscesse, i  Pathfinder suonano un complesso power metal neoclassico, con abbondanti ed essenziali partiture sinfoniche, su un tappeto di velocità d’esecuzione elevatissima. Si potrebbero quasi definire come un riuscito incontro tra la potenza e velocità dei Dragonforce e la magniloquenza musicale dei nostri Rhapsody. Presentazioni a parte, il nuovo “Fifth Element” non delude le aspettative ed anzi si rivela essere decisamente superiore rispetto al pur brillante e difficile esordio. Intendiamoci, i lavori della band polacca non sono estremamente originali, poiché molte dello loro soluzioni musicali hanno già trovato spazio nei vecchi lavori dei Rhapsody o sono, comunque, già piuttosto sentite nell’ambito del power neoclassico-sinfonico, ma, nonostante ciò, i loro brani riescono a colpire per un’innata freschezza e potenza. Un’altra caratteristica lodevole che li distacca dal filone di un canonico sympho-power è l’utilizzo frequente di blast-beats e partiture più estreme (limitatamente al genere proposto, ovviamente), comprese di vocals variegate, a volte anche fuori luogo. Insomma, i Pathfinder non si sono mai astenuti dal cercare di sperimentare comunque qualche soluzione differente e più malsana rispetto al classico filone sinfonico e “Fifth Element” non è da meno: gli elementi del primo disco ci sono tutti, la velocità, le scale virtuosistiche, la sinfonia pomposa, le strane partiture vocali, le sfuriate estreme, ma, in generale, il songwriting registra un netto miglioramento. Infatti se in BTSBTT avevamo dei brani costruiti ad arte e dalle strutture complesse, è anche vero che molte cose facevano fatica a rimanere in testa, mentre in FE ogni brano ha un suo perché ed è contraddistinto da un ritornello chiave che rimane in testa fin dai primi ascolti, pur permanendo le strutture complesse e gli arrangiamenti orchestrali elaborati (anche quest’ultimi ulteriormente migliorati dall’esordio). Insomma, per farla breve, i Pathfinder restano una band da tenere seriamente sott’occhio nel panorama del power metal sinfonico; speriamo solo che la loro grande fantasia musicale e le loro capacità tecniche fuori dal comune riescano ad essere notati degnamente dal grande pubblico, ma con queste premesse è difficile pensare al contrario. Li attendiamo per la fatidica prova del terzo disco, intanto sono ampiamente promossi.


Track by Track:

Si parte con un’immancabile introduzione sinfonica che avvia il concept del quinto elemento, “Ventus Ignis Terra Aqua”, in cui una profonda voce si prodiga in improbabili narrazioni, alla maniera di Christopher Lee con i Rhapsody. La musica che accompagna il parlato è chiaramente di stampo sinfonico e ben si cala nel suo ruolo di apripista per preparare l’ascoltatore, anche se va detto che non è certo un’introduzione esemplare. Tralasciato questo trascurabile dettaglio, si entra nel vivo con la lunga title-track “Fifth Element”, in cui i polacchi si destreggiano alla grande tra partiture sinfoniche, virtuosismi veloci ed oscuri (nella parte solistica), stacchi di pianoforte e numerose parti di blast-beat fulmineo, come accade nel maestoso ritornello. Lungo i nove minuti del brano, non si può non notare come i Pathfinder siano grandi esecutori e compositori dalle idee spesso geniali e particolari. Come nel disco precedente, anche in questo caso le voci sono indescrivibili e non sempre totalmente apprezzabili, tra un cantato ordinario, screams in falsetto messi qua e là e parti in pseudo-screaming. Gli arrangiamenti strumentali sono strabilianti, così come saranno lungo tutto l’album. Chiusa quest’ottima power song, il seguito prende nome di “Ready To Die Between Stars”, un’altra ottima song di power orchestrale e possente, forse più canonica, ma indubbiamente coinvolgente nelle sue repentine evoluzioni e nei suoi arrangiamenti orchestrali potenti ed essenziali. Molto bello ed emozionante è il velocissimo e corale ritornello, così come in tutto il corso del brano le linee vocali riescono ad essere davvero convincenti. Spettacolare infine tutta la parte solistica centrale: in stile Dragonforce nella prima metà, con scambi eccellenti tra chitarre e tastiere, ed in stile Rhapsody nella seconda metà, tra epiche ed oscure melodie. Insomma, un brano davvero eccellente, che lascia spazio ad un altro stupendo pezzo dal titolo “The Day When I Turn Back Time”: l’introduzione ricorda i Turisas più recenti di “The Varangian Way” con dei cori epici e profondi, mentre da li a poco il tutto si ridimensiona in un contesto power suonato a velocità elevatissime. Magistrali la magniloquente strofa ed il favoloso refrain, epico, emozionante e malinconico, con un lodevole crescendo orchestrale. Un brano che non sbaglia una nota e fa centro ancora una volta, candidandosi come vero capolavoro dell’intero album. “Chronokinesis” è aperto da una sezione orchestrale magistrale e profondissima, per poi svilupparsi in strofe veloci, ma meno memorabili e più canoniche. Il vero punto di forza del brano è il refrain, che si apre potente ed arioso, dando un tocco di solarità alla proposta della band, tra le consuete parti di batteria al fulmicotone ed arrangiamenti sinfonici sempre in primo piano, senza soffocare le chitarre. “March To The Darkest Horizon” è il brano più cadenzato e battagliero dell’intero album, in cui una trionfale strofa dal sapore manowariano porta ben presto ad un convincente ritornello corale e guerriero, su una splendida cavalcata metallica. Come di consueto, la parte solistica risulta costruita a dovere, in grado di catturare l’attenzione e di mantenere alta la tensione, anche quando i ritmi si stoppano in un preziosissimo stacco di suggestivo pianoforte con voce femminile. Otto minuti di metal trionfale e battagliero davvero magistrale ed estremamente riuscito. Cade a pennello la ballad “Yin Yang”, dove a parlare sono solo un delicato pianoforte e dei leggiadri archi, che accompagnano uno splendido duetto tra il singer Szymon ed una voce femminile, un po’ com’era accaduto con la ballad “Undiscovered Dreams”, dal primo disco. Il brano mette in risalto tutta l’anima melodica dei Pathfinder, senza voler strafare e rimanendo quindi ancorato a melodie ed arrangiamenti semplici, ma efficaci nello spezzare il ritmo di un album fin qui accesissimo. Ad essere puntigliosi, il finale poteva essere giostrato in maniera più degna, ma, onestamente, si tratta di una virgola in mezzo a tanta magnificenza. La sezione orchestrale lascia maggiore spazio alle chitarre con il power velocissimo e dragonforciano di “Elemental Power”, brano introdotto da sognanti melodie di tastiera e giocato su uno splendido ritornello sparato a velocità supersoniche, su un ottimo tappeto melodico. Non mancano i consueti stacchi di blast-beats di batteria, che rendono tutta la proposta leggermente più aggressiva ed accattivante. Immancabile la spettacolare battaglia solistica tra le chitarre di Gunsen/Karol e la tastiera di Slawek, ulteriormente sottolineate dalla velocità estrema del brano. Ancora una canzone basata su alte velocità è “Ad Futuram Rei Memoriam”, la quale, dopo una delicata introduzione sinfonica, si lancia in fulminei blast di batteria e sweep di chitarra-tastiera. La qualità è ancora una volta estremamente buona, anche se nel complesso il brano non brilla alla pari delle tracce precedenti, nonostante un memorabile refrain fulmineo ed estremamente melodico. L’ultimo tassello di questo fantastico album è “When The Sunrise Breaks The Darkness”, che gode ancora di un ritornello carico di enfasi, di orchestra e di malinconia. Degni di nota sono anche le varie strofe ed i bridge (mi hanno ricordato qualcosa dei francesi Fairyland) ed i sottili arrangiamenti ben fatti che pervadono tutto il brano. Un classico brano di symphonic power sparato a folli velocità, tra melodie eccezionali ed arrangiamenti sopraffini, perfetto per chiudere degnamente un capolavoro come “Fifth Element”. “Vita” è infine un trascurabile outro che richiama il tema della title-track, ma aggiunge ben poco a quanto già detto egregiamente dalle tracce precedenti.


Considerazioni Conclusive:

Perdonate il mio costante elogio, ma qui siamo di fronte al capolavoro symphonic-power del 2012, a meno che non ne spunti fuori un altro nel restante mezzo anno a disposizione (vedremo cosa combina Turilli!). Insomma, una così giovane band che solo al secondo album mette in mostra una tale magnificenza musicale, non può che essere ammirata con stupore ed apprezzamento, al di là del genere proposto: a tal proposito, se odiate il power sinfonico e pomposo, lasciate comunque perdere quest’album, poiché accontenta solo un certo target, ma lo fa dannatamente bene. Nelle fila della band polacca troviamo degli autentici mostri, tra cui i chitarristi Gunsen e Karol Mania che si mettono in mostra tra riff veloci e precisi e virtuosismi solistici degni dei migliori shredders; Szymon Kostro è colui che da voce ai Pathfinder, dimostrando una spiccata personalità ed una buona tecnica, dando comunque il meglio di sé nelle tonalità medie, mentre i suoi screams acuti, a volte, possono sembrare anche fuori contesto; Slawek Belak si occupa delle tastiere e di tutto il possente ed epico comparto d’orchestrazione: inutile dire che il suo contributo è essenziale e sbalorditivo nella capacità di arrangiare minuziosamente tanti suoni e tanti strumenti orchestrali diversi (per quanto, credo, siano sintetizzati) e i suoi solos velocissimi e gustosi hanno una dichiarata influenza neoclassic-power; Arkadiusz Ruth, oltre ad aiutare Slawek nelle orchestrazioni, riesce a mostrarsi in qualche occasione grazie ad alcuni brevi assoli di basso, sottolineando la sua grande capacità tecnica; infine il nuovo drummer della band, Kacper Stachowiak, mette in mostra tutta la sua abilità con passaggi velocissimi, potenti ed aggressivi, dimostrandosi un batterista davvero disumano, a tratti. La produzione ha il grande pregio di riuscire a mettere sotto la giusta luce tutti i singoli strumenti, senza penalizzare alcun suono o alcuna frequenza, risultando in un ottimo lavoro di audio engineering; ad essere puntigliosi, il suono della batteria non è eccellente e risulta forse un po’ scarno, avrebbe forse reso maggiormente con un suono differente. All’opera sul disegno della copertina troviamo un certo Felipe Machado Franco…lo ricordate? Basta pensare agli ultimi due album dei Blind Guardian e alle recenti produzioni dei Rhapsody: esatto, proprio lui. Infatti il suo stile è perfettamente riconoscibile anche nella bella cover di “Fifth Element” (notare l’uomo incappucciato e la sfera pseudo-energetica con gli anelli incastrati). Detto ciò, non posso che rinnovare i miei complimenti alla band polacca, creatrice di un album davvero curatissimo, inteso e corposo, valido sotto tutti i punti di vista. I Pathfinder sono dotati di tutte le capacità e le intenzioni per farsi conoscere degnamente in un prossimo futuro; diamo loro questa possibilità, perché se la meritano seriamente.



Tracklist:

01. Ventus Ignis Terra Aqua
02. Fifth Element
03. Ready To Die Between Stars
04. The Day When I Turn Back Time
05. Chronokinesis
06. March To The Darkest Horizon
07. Yin Yang
08. Elemental Power
09. Ad Futuram Rei Memoriam
10. When The Sunrise Breaks The Darkness
11. Vita


Voto: 9/10

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