mercoledì 6 luglio 2011

SERENITY - Death & Legacy


Quando la Storia e la Musica si incontrano…

Nome Album: Death & Legacy
Etichetta: Napalm Records
Data di uscita:25 Febbraio 2011
Genere: Symphonic/Power Metal

Introduzione:

Ebbene si, anche la timida Austria, terra di Mozart e della musica classica, è in grado di regalarci grandi band di ottima caratura e qualità. E’ il caso dei Serenity, gruppo ancora troppo sconosciuto presso il grande pubblico, ma che sta ampiamente guadagnando consensi a destra e a manca, compreso il nostro Bel Paese, freschi anche di un recente tour di supporto ai Delain che ha fatto tappa anche all’Alcatraz, in quel di Milano. L’ascesa dei Serenity prende le mosse da Words Untold & Dreams Unlived (pubblicato nel 2007), ed è subito chiaro l’intento della band, ovvero quello di suonare del buon e sognante power-symphonic metal. Il primo lavoro è incentrato maggiormente su linee power rispetto ai due album successivi, ma già inizia seriamente a slegarsi dai cliché del genere, proponendo inserti molto ricercati, ricamati da vari passaggi progressivo-sinfonici. Niente male come inizio, bissato due anni dopo dal capolavoro Fallen Sanctuary, dove i ritmi rallentano leggermente ed il sound si fa decisamente più sinfonico ed evocativo. Iniziano sempre più a delinearsi certi trademark della band, su tutti la voce di Georg Neuhauser, lontana dal classico power-singer, pendendo verso un range vocale meno esteso ma ricco di teatralità e molte sfumature. 3 anni dopo rieccoli calcare i palchi europei con il loro fatidico terzo full-lenght dal titolo Death & Legacy. Da un lato, i Serenity non aggiungono nulla di nuovo a quanto la scena abbia già visto negli ultimi anni (e non ne hanno nemmeno la pretesa), dall’altro tutti gli elementi ormai tipici della band vengono ripresi ed amalgamati in 16 brani che (con poche eccezioni) trasudano emozione e brillano di un’elegante perizia compositiva, abbastanza rara al giorno d’oggi. Il contenuto lirico dell’album, forte delle conoscenze di Georg (laureato in storia moderna) e di un imponente lavoro di documentazione, si snoda attraverso una sorta di affascinante concept, dove, in ogni brano, troviamo testi incentrati su diversi personaggi ed avvenimenti storici (come già fecero gli Iced Earth su The Glorius Burden): questo rende ancora più valore ad ogni singolo brano, ed è una di quelle cose che riempie di orgoglio noi metallari. Musicalmente parlando, ci ritroviamo di fronte ad un proseguimento di Fallen Sanctuary, in quanto a tipi di sonorità prettamente sinfoniche, ma sembra che i nostri sciorinino una maggiore aggressività, attraverso alcuni azzeccati riff di chitarra sparsi qua e là lungo il corso dei brani. Se proprio è necessario trovare dei riscontri stilistici con altre band, possiamo affermare che i Serenity rappresentano un riuscito connubio tra l’eleganza dei Kamelot e la delicatezza sinfonica dei Nightwish, non disdegnando un certo piglio aggressivo ed accattivante. Pregevoli inoltre le partecipazioni femminili di cui Georg si è servito e di cui parleremo in seguito. Insomma ci sono molte song, un sacco di carne al fuoco e ci sono tutti gli ingredienti essenziali per potersi godere un buonissimo album di pregevole symphonic metal e di una giovane band meritevole di successo e notorietà accanto ai mostri sacri del genere (Kamelot, Nightwish, Rhapsody Of Fire ecc…). Non ci resta che tuffarci nella storia con i Serenity!


Track By Track:

Il consueto intro d’apertura è la breve strumentale “Set Sail To”, che non presenta nient’altro che vaghi suoni di un’epica battaglia in mezzo al mare. Il disco parte subito in quarta con il primo brano d’apertura “New Horizons”: riff aggressivi vengono accompagnati da pompose orchestrazioni e si alternano sapientemente con alcune strofe delicate e prive di distorsioni di chitarra, fino al sinfonico refrain con delle splendide aperture melodiche e vocali. Buona la parte intermedia del brano e notevole il solo di chitarra, elemento decisamente più marcato in fase di mixing, in questo nuovo album rispetto al passato. Con questo buon brano, le coordinate stilistiche di Death & Legacy sono state già tutte presentate, ma il meglio deve ancora arrivare. Il primo singolo, con annesso video in stile gotico/storico, è “The Chavelier”, un altro ottimo brano dal classico suono “serenitiano”. Qui abbiamo la prima sorpresa del disco, la voce femminile di Ailyn, singer dei gothic metallers Sirenia. Il brano, dopo un’introduzione sinfonica, ha un incedere lento e corposo, dal groove accattivante ed assicurato, grazie anche alle chitarre a 7 corde. Ottimo l’arrangiamento, le melodie ed il super refrain, che fanno di questo brano uno dei migliori di D&L. La prestazione vocale di Ailyn non brilla per notevoli capacità sopra la media, ma è comunque apprezzabile. Aumenta la velocità con “Far From Home”, che esplode in un turbinio di doppia cassa e strumenti classici impazziti. Siamo di fronte ad un altro splendido brano, dove spiccano ancora gli arrangiamenti orchestrali, sempre più ricercati e perfetti, e gli intrecci chitarristici davvero notevoli. Il ritornello del brano risulta essere leggermente meno ispirato rispetto al resto della song, ma, ad ogni modo, tutti i pezzi concorrono al perfetto incastro, rendendo l’ascolto davvero gradito e stuzzicante. “Heavenly Mission” ha un entrata più possente e sinfonica e ben rappresenta il tema trattato (le Crociate). In questo sano mid-tempo troviamo i classici elementi musicali che hanno fatto grande il predecessore Fallen Sanctuary: tanta tanta melodia emozionante, orchestra ambiziosa e prepotentemente incessante, riff di chitarra più aggressivi, ritornello azzeccato e groove assicurato. Nel procedere delle danze ci imbattiamo in “Prayer”, una semplice preghiera di un minuto narrata in spagnolo da una voce femminile, accompagnata da un lievissimo tappeto corale. Nonostante si tratti solo di un intermezzo, resta comunque un’idea originale per introdurre l’epica “State Of Siege”: i primi due minuti sono dedicati ad un inno di battaglia con tanto di violini, marcetta di batteria e lievi sinfonie in crescendo. Aggressivo il successivo attacco di batteria e chitarre, che fanno da tramite per una splendida melodia sinfonica che ritroveremo anche nell’ottimo, ma non originalissimo, refrain. Ecco, tra l’altro, ricomparire lievi strofe, lente e corpose, con tanto di pianoforte in bella vista. Ad ascolto concluso, non possiamo che definirlo come un buon brano, anche se piuttosto classico e meno ricercato rispetto ad altri ottimi brani presenti nel platter. Proseguiamo il percorso storico con uno dei picchi più alti dell’album, se non uno dei più alti raggiunti fin qui dai Serenity: la ballad “Changing Fate”. Questo lento brano, accompagnato quasi interamente da chitarre acustiche, trova i suoi punti di forza nel melodico ed emozionante refrain, negli arrangiamenti riuscitissimi ed originali di chitarra, nell’epica e distorta parte centrale, ma, soprattutto, nella candida voce di Amanda Somerville (la bionda singer degli Avantasia). La sua voce splendida e quella non da meno di Georg si intrecciano, dando vita ad un affascinante duetto. Anche se questa ballad non raggiunge i picchi emotivi della vecchia “Fairytales”, rappresenta comunque una direzione musicale da cui i Serenity escono sempre gloriosamente vincitori. Le sorprese non sono ancora finite, perché il seguito dell’album è affidato a “When Canvas Starts To Burn”, a tutti gli effetti il brano migliore di D&L. La tendenza è quella di dare maggior spazio alle chitarre, che si esprimono attraverso una ragionata aggressività nelle strofe, e meno agli arrangiamenti sinfonici, che qui compaiono meno ricercati e meno solenni rispetto ad altri brani sentiti in precedenza. Ottimo il sognante ritornello ed ottimo l’assolo, bilanciato tra passaggi più tecnici ed altri più melodici ed armonizzati. Di bene in meglio con “Serenade Of Flames”, mid-tempo d’impostazione maggiormente “gothicheggiante”, con dei corposi chitarroni in primo piano supportati da suadenti melodie d’impatto. Ad aggiungere un tocco d’eleganza in più ci pensa la buona prestazione della terza guest star del disco, la rossa Charlotte Wessels (singer dei Delain), ed in effetti, per certi tipi di sonorità ed esecuzione, pare quasi una song creata apposta per sposare la sua voce. Notevoli alcuni guitar riff aggressivi ed il refrain decisamente orecchiabile e mainstream. Tutto ciò consegna agli ascoltatori un brano semplice, ma, allo stesso tempo, efficace e ricco di sfumature. “Youngest Of Widows” apre un set di brani in linea di massima meno ispirati rispetto a quelli fin’ora sentiti. Il brano in questione risulta essere un buon pezzo di metal melodico, ma non v’è nulla al suo interno che riesca a risaltare nel contesto. Il melodico refrain, di facile presa, rappresenta, forse, il meno riuscito del lotto, considerando l’ispirazione generale che aleggia in D&L, pur presentando le solite raffinate orchestrazioni. Carino, ma non trascendentale, lo stacco centrale con relativi guitar-solos. Possiamo perdonare tutto questo ai Serenity, vista la magna qualità finora propostaci nei precedenti 10 brani. “Below Eastern Skies” è un intermezzo piuttosto simpatico ed atipico, comprendente sonorità orientaleggianti che urtano col contesto magniloquente e sinfonico dell’album, ma è azzeccato per presentare ed introdurre “Beyond Desert Sands”, un altro pezzo dove assistiamo ad un lieve calo di fresca ispirazione. Nonostante il rapido attacco piuttosto ficcante e le melodie d’ispirazione arabeggiante, il brano perde forza in un ritornello privo del giusto spessore, rilasciando così una song discreta, ben fatta e ben confezionata, ma meno accattivante rispetto ai brani precedenti. Con una breve introduzione sinfonica inizia “To India’s Shores”, ennesimo mid-tempo sinfonico, semplice nella struttura, ma comunque riuscito e ben fatto grazie ad arrangiamenti e parti orchestrali studiate sapientemente nei dettagli, che, attraverso un crescendo, esplodono nel ritornellone di turno, melodico e corale, intriso di passione ed ispirazione. Ottimo l’assolo di chitarra centrale. Nei testi, come eludibile dal titolo, si narrano le note vicende di Cristoforo Colombo, in viaggio verso le coste dell’India. Galileo Galilei è invece protagonista della chiusura dell’album, affidata in primis all’intermezzo “Lament”: un breve e sorprendente monologo recitato in lingua italiana (!) da Fabio d’Amore (l’attuale bassista dei Serenity, entrato ufficialmente nella band subito dopo la registrazione dell’album), intriso di teatralità ed entusiasmo. Intermezzo che apre le porte all’ultimo capitolo di D&L, la raffinata “My Legacy”. L’ottimo incipit di pianoforte ci introduce ad un tappeto di doppia cassa che fa da supporto a potenti e variegate orchestrazioni e a ricercati chiaro-scuri, tra incursioni acustiche e ripartenze metalliche. Ancora una volta notevole la parte mediana del brano e i guitar solos, sempre in bilico tra melodia e tecnicismi più elaborati (lontani, comunque, da virtuosismi prog o quant’altro). Nonostante il refrain non sia particolarmente fresco, la band ci consegna comunque un altro buonissimo brano che chiude in maniera degna questo nuovo lavoro davvero meritevole. Ad ascolto concluso, sembra proprio che la serenità splenda sui nostri volti.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Pollice in su per i nostri vicini di casa austriaci. I Serenity riescono a regalarci un piccolo gioiello di metal sinfonico, un genere, oggi, fin troppo abusato ed in continuo fermento, ma che, di tanto in tanto, riesce a partorire dei prodotti davvero interessanti. Death & Legacy non è un album originalissimo, è meno immediato rispetto a Fallen Sanctuary e necessita di più ascolti approfonditi, ma è più complesso, costruito con maggior perizia e ha in sé un’intrinseca freschezza ed eleganza compositiva che lo rendono particolarmente godibile e molto piacevole. Non è esente da lievi limiti, ovviamente, come per esempio un’eccessiva prolissità dello stile tipicamente sinfonico (dovuto anche ad una pretenziosa tracklist) e, certamente, una maggiore varietà stilistica tra una song e l’altra non avrebbe guastato, anche se alcuni inserti e riff maggiormente rocciosi ed aggressivi aiutano sapientemente nello spezzare le magniloquenti sonorità dell’album. La produzione, pulita e grintosa, aiuta a godersi quest’album nota per nota. Rispetto all’album precedente, infatti, vengono messe maggiormente in risalto le orchestrazioni, arrangiate in modo sublime. Non si tratta di un’orchestra tipicamente d’accompagnamento o con intenti “cinematografici”: spesso è un’orchestra diretta ed incisiva, pronta a sottolineare ogni passaggio, uno strumento essenziale per la riuscita dei brani, e ciò rende le song dinamiche e non stantie. Oltre a ciò, è da segnalare come le ritmiche risultino variegate e quasi mai banali nella loro costruzione, complici la sezione ritmica creata dalla colorita batteria (finalmente corposa rispetto al precedente FS) e dalla chitarra di Thomas Buchberger, macinatore di ottimi riff ed autore di splendidi solos, curati e messi maggiormente in risalto rispetto ai full-lenght precedenti. La voce di Georg, come sempre, completa ed irrobustisce il sound del quintetto. Il suo timbro spesso è paragonato a quello del ben più noto singer dei Sonata Arctica, Tony Kakko. A mio avviso, al di là di una solamente lieve somiglianza di timbro vocale, Tony è dotato di maggior estensione ed aggressività, mentre Georg punta maggiormente alla delicatezza, all’eleganza d’esecuzione e alla teatralità interpretativa (Kamelot docet), donando un tocco di originalità ed un trademark al sound della band. A tutto ciò aggiungiamo un’interessante immagine di copertina, un concept lirico di tutto rispetto ed abbiamo così un piccolo capolavoro del 2011, da parte di una band che ci auguriamo possa presto raggiungere l’ambita notorietà, al di là dei confini europei.


Tracklist:

01. Set Sail To
02. New Horizons
03. The Chevalier
04. Far From Home
05. Heavenly Mission
06. Prayer
07. State Of Siege
08. Changing Fate
09. When Canvas Starts To Burn
10. Serenade Of Flames
11. Youngest Of Widows
12. Below Eastern Skies
13. Beyond Desert Sands
14. To India’s Shores
15. Lament
16. My Legacy


Voto: 8,5/10

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