martedì 28 giugno 2011

ALESTORM - Back Through Time


Jolly Roger a mezz’asta…

Nome Album: Back Through Time
Etichetta: Napalm Records
Data di uscita: 3 Giugno 2011
Genere: Pirate Folk Metal

Introduzione:

Navigatori di tutti i mari, eccovi di nuovo tornare la band più scanzonata di tutta la Scozia, gli Alestorm! Nell’ambiente folk sono ormai parecchio conosciuti, amati per le loro melodie allegre e birraiole e spesso detrattati, d’altro canto, per i loro testi interamente basati sulle vicissitudini piratesche di certa letteratura inerente. Per molti, invece, restano una band poco conosciuta e quindi è doveroso introdurre qualche nozione in più. L’esordio col botto è del 2008, a titolo Captain Morgan’s Revenge: già da titolo, cover e contesto si intuisce la direzione musicale. Questi 4 giovani fanno del Pirate Metal la loro indole, inserendo nella loro proposta un power metal influenzato dal folk, con tanto di pompose ed anthemiche aperture sinfoniche. Le idee espresse nel primo album vengono riprese, tra intuizioni geniali ed altre già stancamente ripetute, con il successivo Black Sails At Midnight (2009), decisamente più curato ed ancora più sinfonico-bombastico rispetto al precedente. Nonostante siano due discreti album, da prendere alla leggera e senza troppa serietà, già si può capire che gli Alestorm ormai abbiano ben poco da dire rispetto a quanto già dato. A questo punto, quindi, è lecito domandarsi: come suona questo nuovo BTT? La risposta, fondamentalmente, la avete già avuta un paio di righe sopra. Tuttavia, non possiamo non notare come, tra gli arrangiamenti e gli ingredienti già fattici conoscere dalla band, facciano capolino alcuni piccoli elementi di novità che rendono, a suo modo, questo lavoro più interessante e piacevole nel suo proseguimento. Non pensate a chissà che cosa, si tratta di semplici virgole all’interno di un contesto sempre piratesco, folkeggiante, sbarazzino, scanzonato, ma dal piglio decisamente più aggressivo e meno sinfonico rispetto al passato. Quindi, detto questo, alzate il volume, spinatevi una buona birra da litro, lasciate perdere per un momento l’oscurità che aleggia interiormente in voi, stampatevi un sorriso sul volto e ascoltatevi il ritorno dei pirati scozzesi dell’heavy metal (non me ne vogliano i defunti Running Wild): questo è l’approccio corretto per gustarvi qualsiasi lavoro degli Alestorm, compreso questo Back Through Time.


Track By Track:

Il mare e l’atmosfera piratesca introducono la title-track, l’opener “Back Through Time”. L’attacco è affidato subito ad uno spietato blast-beat di batteria, donando una maggiore aggressività e violenza alla musica del combo scozzese. Questo brano d’apertura risulta essere sufficientemente accattivante ed aggressivo, soprattutto nell’azzeccato refrain, e, a suo modo, rappresenta una canzone leggermente scostata dai classici stilemi alla Alestorm. Quindi, un buon inizio, dove si intravedono buoni arrangiamenti folk-sinfonici alternati a riff più tirati e di matrice thrash. Deficitano un po’ invece (ma questo è risaputo) le parti vocali del singer-keyboarder Christopher Bowes, come sempre grezze e sterili, anche se azzeccate nel contesto piratesco. Un feroce riff thrasheggiante apre il primo singolo “Shipwrecked”, seguito subito da allegre melodie di fisarmonica. Quest’ottimo brano giustifica la scelta di usarlo come singolo: è infatti un piccolo inno da stadio che vi entrerà in testa fin dal primo ascolto. Notevoli gli stacchi thrash, nella parte mediana del brano, che donano quella giusta ed interessante alternanza tra folk e metal. Il buffo videoclip altro non fa che suggellare l’anima festaiola dei pirati scozzesi. Stesse soluzioni per la seguente “The Sunk’n Norwegian”, brano che richiama maggiormente il pirate metal dei primi due album. Anche in questo caso gli Alestorm, attraverso trombe, fisarmoniche, flauti e quant’altro, creano un anthem da cantare a squarciagola con tanto di pugno alzato, al grido di “One more drink!”. Il risultato che ne esce è un brano immediato e piacevole, ma non particolarmente esaltante né tantomeno innovativo. Meglio la seguente “Midget Saw”, che, dopo un’introduzione affidata ad una melodia folkeggiante, si riassesta sui binari della traccia di apertura, in termini di velocità d’esecuzione. Stacchi di doppia cassa velocissima e blast-beats improvvisi accompagnano il solito ritornello da stadio azzeccato per l’occasione. Molto buona la parte centrale, coadiuvata da un buon assolo di chitarra. Le melodie iniziali tornano sul finale, consegnandoci la successiva “Buckfast Powersmash”: il brano più aggressivo di tutto l’album. Nei suoi due minuti e mezzo di durata, questa bizzarra canzone ci propone dei riff velocissimi in un tiratissimo stile thrash-core (Municipal Waste?), alternati a delle parti più allegre, melodiose e folkeggianti. Nonostante gli esaltanti e violenti stacchi del refrain, in fin dei conti, risulta essere un brano poco riuscito nell’arrangiamento, poiché i riff thrash e le parti più melodiche vengono mal amalgamate, lasciandoci, alla fine dell’ascolto, una sensazione di amara inconcludenza. Poco male, comunque, per del sano headbanging. “Scraping The Barrel” è la classica ballad alla Alestorm, come da tradizione inserita in ogni album della band. I loro lenti, causa la voce eccessivamente imprecisa di Bowes, non brillano certo per intensità emotiva o interpretazione esemplare (non aspettatevi ballad strappalacrime tipiche dell’heavy o del power), ma comunque rappresentano degli episodi contestualizzati al tema piratesco e scorrono tranquilli nello stereo. E’ così anche per questo lento, che ha il suo punto di forza nel melodico refrain. Peccato solo che sia una cover di Stan Rogers, e quindi non sia interamente farina del sacco della band. C’è spazio per un altro inno folkeggiante, dall’eloquente titolo di “Rum” (c’è bisogno di ribadire quanto gli Alestorm siano amanti dell’alcool?). Una sorta di ode verso la bevanda alcolica preferita dai pirati di tutti i mari; pertanto già si può capire che i temi seri non sono alla portata di un gruppo come gli Alestorm. Musicalmente il brano non mette in evidenza grandi idee compositive, risultando così un episodio divertente, ma trascurabile. “Swashbuckled” si impone come un epico mid-tempo cavalcante, dove però le coordinate stilistiche del combo si confermano rimanere decisamente inalterate rispetto ai canoni. Il brano risulta abbastanza scontato, e nemmeno il cambio di velocità nell’intermezzo riesce a risollevare una song stanca e piatta, rappresentando, forse, l’episodio meno riuscito dell’album. Decisamente spiazzante “Rumpelkombo”, ed il motivo è presto detto: trattasi infatti di un mini stacco di 2 secondi effettivi di durata, inutile e completamente senza senso, progettato esclusivamente per indurre l’ascoltatore a farsi una buffa risata. Del resto la serietà, come abbiamo capito, non è contemplata in casa Alestorm. Fin troppo allegra e birraiola anche la seguente “Barrett’s Privateers”, che nelle sue folkeggianti melodie da osteria trova il suo punto di forza. Questa song quindi, pur peccando di incessante ripetitività, risulta, se non altro, divertente al punto giusto, come da miglior tradizione, aiutata anche da un buon assolo di chitarra. Arriviamo alla successiva “Death Throes Of The Terrorsquid”, che cade giusta giusta per risollevare le sorti di due o tre pezzi piuttosto trascinati e poveri di idee. Il brano sembra quasi esser pervaso da un’aura più seria ed oscura rispetto alla classica produzione del combo scozzese. Infatti le strofe, caratterizzate da melodie darkeggianti, lasciano spazio ad un lento refrain epico e, soprattutto, ad una notevole  parte centrale, in cui i blast-beats di batteria sono accompagnati da una voce scream (opera di Bowes?), dando vita così ad un’atmosfera decisamente vicina al black metal sinfonico (!) di Cradle Of Filth e Dimmu Borgir. Approdiamo così al finale della song, che si aggiudica la palma di miglior brano dell’intero album. Certo, nulla di nuovo o particolarmente innovativo è stato scritto, ma la sua maggiore lunghezza e varietà stilistica lo rendono una song interessante al punto giusto e molto godibile. Le seguenti brevi bonus tracks “I Am A Cider Drinker” (cover dei The Wurzels) e “You Are A Pirate” (cover dei Lazy Town), come si può immaginare già dai titoli, chiudono l’album con due inni di allegrissimo e scoppiettante folk metal. La prima forse più riuscita della seconda, sono comunque entrambe dei buoni espedienti per passare una serata in allegria con birra e amici all’osteria più vicina…E che altro vi aspettavate dagli Alestorm?!


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Dopo l’entusiasmo per le prime due tracce, non mi resta che confermare come sia palese a tutti che gli Alestorm siano una band nata unicamente con lo scopo di far divertire, a suon di inni, i propri fan folkettari. Questo aspetto, senz’altro lodevole da un certo punto di vista, si ripercuote, inevitabilmente, sull’aspetto musicale. La musica è ciò che conta davvero e, a conti fatti, sembra che il combo scozzese più di tanto non abbia intenzione di schiodarsi da questo allegro pirate metal. Ottima novità il primo album, azzeccato ma già stantio il secondo, arriviamo alla terza fatidica uscita per ottenere nient’altro che una conferma di quanto già eseguito in passato. Aiutano lievemente le rotte thrasheggianti e la sempre apprezzata allegria, ma non bastano per rendere buono e totalmente convincente un lavoro piuttosto approssimativo e spesso dispersivo, dove la qualità musicale e la ricerca sonora (essenziali al giorno d’oggi per risaltare almeno un minimo sulla massa) vengono meno, in favore di stilemi ormai già troppo abusati e sempliciotti. Non aiutano le prestazioni vocali di Bowes, talvolta al limite dell’imbarazzante, seppur contestualizzate. I solos del chitarrista Dani Evans sono abbastanza validi, certo, ma perdono spessore nel contesto e, molte volte, non vengono messi in risalto nel modo giusto, risultando solo un lieve contorno. Il basso di Gareth Murdock non spicca sugli altri strumenti, mentre si salvano la tecnica e precisa batteria di Pete Alcorn (non trascendentale, ma ficcante), i sempre buoni arrangiamenti orchestrali e la super-produzione, sempre attenta ad un suono moderno e pomposo. La copertina piratesca è divertente e ben fatta, come nelle scorse releases. Insomma, pistola alla testa, si tratta di un album discreto e piacevolmente ascoltabile per un paio di volte e non di più, senza aspettarsi eccellenti doti musicali, destinato presto a cadere nel dimenticatoio. Spesso si dice che il terzo album, per una band, rappresenti il punto di non ritorno, la prova del nove. Una prova che, in questo caso, ci ripropone una band ancora troppo statica e prevedibile anche per il prossimo futuro. Speriamo di sbagliarci e di poter sentire, un giorno o l’altro, un possente sparo di cannone dal galeone scozzese degli Alestorm.


Tracklist:

01. Back Through Time
02. Shipwrecked
03. Sunk'n Norwegian
04. Midget Saw
05. Buckfast Powersmash
06. Scraping The Barrel
07. Rum
08. Swashbuckled
09. Rumpelkombo
10. Barret's Privateers
11. Death Throes of The Terrorsquid
12. Am A Cider Drinker (Bonus Track)
13. You Are a Pirate (Bonus Track)


Voto: 6,5/10

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