mercoledì 15 giugno 2011

WITHIN TEMPTATION - The Unforgiving


Tentazioni radiofoniche…?

Nome Album: The Unforgiving
Etichetta: Roadrunner Records
Data di uscita: 19 Aprile 2011
Genere: Symphonic Metal/Gothic Rock

Introduzione:

La prima volta che vidi la cover “fumettizzata” di questo nuovo The Unforgiving, quando l’album era ancora in fase di realizzazione, cercai di capire il perché di un disegno così distante e “urbano” rispetto alle vecchie cover realizzate dal gruppo per i dischi precedenti. Variazione nello stile e cambio di rotta? In realtà, di questo cambiamento c’è ben poco, in questo nuovo lavoro. La cover si riferisce nient’altro che al concept che sta dietro al disco: una storia basata sui fumetti di Steven O'Connell. Risolto l’arcano sulla grafica, resta la musica: dopo 4 anni dall’ultimo favoloso disco in studio (The Heart Of Everything), intervallati da un album acustico, la band olandese capitanata dall’affascinante Sharon Den Adel e dal chitarrista, nonché compagno di Sharon, Robert Westerholt, torna con un album ricco di atmosfere affascinanti, non esente da qualche piccola novità e anche da varie ombre, rendendolo così un album piacevole, ma in certi momenti piuttosto piatto e tronfio rispetto al passato della band. L’approccio scelto (evoluzione spontanea o ricerca voluta?) dai WT, musicalmente parlando, calca le orme di un gothic rock ispirato e ben confezionato dalle numerose orchestrazioni, arrangiate, come al solito, in modo egregio. In sporadici episodi si avrà modo di assaporare qualche atmosfera che ricorda direttamente il vecchio corso della band (tralasciando il primo album Enter, dal sapore dark-gothic-doom), e in un paio di brani avremo invece modo di apprezzare la band in una veste maggiormente “powereggiante”. Insomma, la carne al fuoco è molta e di certo i WT non lasciano nulla al caso. Ma non è sempre oro ciò che luccica: se da una parte rimangono inalterate le atmosfere sinfoniche a cui siamo stati abituati da anni, dall’altra riscontriamo qualche pecca nel songwriting. Se già il precedente lavoro risultava essere più morbido ed ampolloso rispetto al passato, ora molte songs tendono ad essere ancora più “mainstream”, più radiofoniche e di facile ascolto, e ciò porta inevitabilmente (come nella maggioranza dei casi come questo) ad un calo qualitativo, per quel che concerne la ricercatezza musicale. C’è solo da augurarsi che il sestetto, forte di un costante apprezzamento planetario, non intraprenda strade sempre più impervie, votate maggiormente al successo commerciale piuttosto che alla qualità della proposta musicale. Intanto, non resta che ascoltare, con mente aperta (si astengano i “true metal warriors”), questo nuovo lavoro targato Within Temptation.


Track By Track:

L’apertura del nuovo lavoro è affidata ad una breve intro narrata, che altro non fa che introdurci nella storia del concept. “Why Not Me” dura pressappoco 40 secondi e possiede delle piccole orchestrazioni che passano presto inosservate. Nulla di trascendentale, insomma, per introdurre l’album. Procede subito la seguente vera opener, “Shot In The Dark”, che prende le mosse da alcuni lievi beat elettronici, per poi esplodere in un classico ritornellone alla Within Temptation: melodico, sinfonico ed emotivo. Il brano prosegue su tempi medi, come da miglior tradizione, anche se si inizia già a riconoscere una direzione più radiofonica che caratterizzerà i vari episodi del disco. Un brano discreto, in fin dei conti, che lascia spazio al riff e alla doppia cassa di “In The Middle Of The Night”, brano che si distacca dalla tradizione sonora della band olandese, grazie,  appunto, a velocità maggiormente sostenute, coadiuvate da tappeti di doppia cassa. Il brano assume quindi dei connotati più vicini al power metal più sinfonico e moderno. Al di là di questo comunque, risulta essere una song davvero valida, con un bel refrain, su alte tonalità per Sharon, a coronare quello che considero uno dei migliori brani del disco. Subito dopo veniamo trasportati sulle note del primo singolo scelto per anticipare l’uscita del disco: “Faster”. Ci troviamo di fronte al brano più radiofonico e semplice dell’intero album. I buoni arrangiamenti orchestrali alzano le sorti di una canzone che, altrimenti, risulterebbe essere troppo piatta e troppo poco ricercata. Insomma, un episodio sufficientemente piacevole, ma che farà storcere il naso a molti. Impossibile poi non notare il mezzo plagio alla song di Chris Isaak “The Wicked Game” (interpretata tra l’altro anche dai finlandesi H.I.M.). Un’apertura sinfonico-cinematografica apre la successiva prima ballad del disco: “Fire And Ice”, un bellissimo brano pieno di pathos e decisamente ben costruito. Una prima parte pianistica lascia spazio alle chitarre pompose, che esplodono in un bel refrain evocativo con tanto di cori e sottili arrangiamenti sinfonici, per una ballad che suggella il livello qualitativo globale del disco. Altro brano da annoverare tra i più riusciti. La successiva “Iron”, in quasi 6 minuti di durata, ci delizia con le sue partiture che molto richiamano il passato della band, quel The Heart Of Everything tanto osannato ed apprezzato. Il riff d’apertura, molto semplice e lineare, viene accompagnato da splendidi arrangiamenti orchestrali e corali, proseguendo attraverso delle buone strofe. Ma proprio là dove i WT giocano spesso le loro carte vincenti (ovvero nel ritornello), abbiamo un leggero calo, con un refrain non particolarmente brillante, ma comunque scorrevole. La voce di Sharon, le orchestrazioni e l’ottimo break centrale rallentato (con narrazione annessa), e successivo guitar solo impreziosiscono non poco il brano, rendendolo molto piacevole. Rallentano ulteriormente i ritmi con la melodica “Where Is The Edge”: questo brano lento risulta abbastanza accattivante nel refrain e nelle strofe incisive, ma altro non fa, in definitiva, che aggiungere alla tracklist un altro brano discreto e nulla di più, condito dalle solite orchestrazione ampollose e ben costruite. Dopo questo episodio sempre piacevole, ma non esaltante, ci troviamo di fronte ai beat elettronici di “Sinéad”, una song di facile presa, ma riuscita e che, a suo modo, spezza un po’ la poco variegata struttura delle tracce precedenti. In questo episodio acquistano un po’ di vigore le ritmiche quasi dance, dando un pelo di freschezza in più ai limitati ritmi che spesso rinveniamo in generi come quello proposto dalla band olandese. Buono il refrain che, agli onnipresenti arrangiamenti orchestrali, aggiunge anche un pizzico di elettronica. Il secondo lentone di The Unforgiving prende il semplice nome di “Lost”: questa bella ballata si rifà, stilisticamente, alle ballad già pubblicate dalla band nei platter precedenti. Nulla di nuovo sotto il sole comunque: il brano è ricco di pathos, grazie ad imponenti orchestrazioni sinfoniche e corali, e si segnala la presenza di un guitar solo eseguito con chitarra classica, seguito da un altro buon assolo in elettrica, per poi proseguire verso l’ultimo refrain e verso il finale della canzone. Ballad quindi piacevole, anche se, qualitativamente, leggermente inferiore rispetto alla precedente “Fire And Ice”. “Murder” presenta un’atmosfera vagamente più oscura rispetto ai brani precedenti, ma non brilla all’interno della tracklist, a causa di un incedere piuttosto scontato e di un refrain poco incisivo e, quindi, piuttosto piatto. I ritmi sono ancora rallentati e si percepisce come le buone idee stiano trovando difficoltà ad uscire, rendendo, a mio avviso, trascurabile questo brano. Va meglio con il diretto seguito “A Demon’s Fate”, canzone molto più efficace, in cui balza all’orecchio, ancora una volta, una maggiore ricercatezza nelle ritmiche, che si elevano rispetto ai consueti canoni, per spostarsi ancora una volta (anche se in maniera meno marcata) sui binari sinfo-powereggianti della terza traccia. Il brano prosegue attraverso un buon ritornello, ed è aiutato da orchestrazioni perfette e ricercate che imperversano in un emozionante crescendo. Da segnalare l’ottimo assolo di chitarra, su un tappeto di doppia cassa e molta sinfonia. Brano riuscito, decisamente sopra la media. Chiusura affidata ad un altro buon brano piacevole dal titolo “Stairway To The Skies”, dove non compaiono altro che i soliti ingredienti che hanno fatto grande la musica del combo olandese. Ritmi lenti, copertura sinfonico-corale pomposa e fin troppo presente, aperture ultra-melodiche nei ritornelli. Quindi, alla chiusura del concept, non troviamo nulla di particolarmente innovativo, ma solo una song ancora una volta piacevole e scorrevole, che, però, non aggiunge nulla di nuovo a quanto già propostoci in precedenza dalla bella Sharon e compagnia.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Devo ammettere che, talvolta, mi capita di riascoltare questo album. Lo trovo piacevole e scorrevole. Certo è che un suono come questo, così ampolloso e così estremamente sinfonico, se recepito in quantità industriali, può facilmente far risalire una noia non indifferente nei confronti dell’ascoltatore. Ma, in fondo, questa è anche questione di gusti, ed obiettivamente non si può che valutare positivamente un  lavoro come questo. A parte le sporadiche bordate in doppia cassa già menzionate, un ulteriore elemento che dona maggior vigore all’album rispetto ai lavori precedenti, è l’introduzione, in alcuni brani, di assoli di chitarra (ad opera di Ruud A. Jolie) finalmente degni di nota e maggiormente costruiti, spesso tenuti in secondo piano in passato. Il chitarrismo ritmico di Westerholt non brilla certo per particolari doti o tecnica, ma è perfettamente integrato, come sempre, in quello che è il contesto musicale della band. Medesimo discorso per il bassista Jeroen Van Veen. Martijin Spierenburg (tastiere) è, con tutta probabilità, l’autore di tutto l’apparato sinfonico e di arrangiamento orchestrale della band, pertanto a lui va il plauso di saper creare intrecci musicali davvero notevoli, donanti un certo spessore artistico ed un’aura atmosferica alla musica del sestetto. Dopo la defezione del precedente batterista Stephen Van Haestregt, le partiture di batteria sono state con molta probabilità eseguite e registrate da un turnista. Da segnalare la maggior ricercatezza (già accennata) rispetto al passato, anche se, in definitiva, si tratta di partiture di batteria tese quasi esclusivamente a tenere il tempo, senza eccedere in passaggi memorabili. Infine, la voce di Sharon: il suo particolare timbro, riconoscibile al primo istante, è il vero trademark del gruppo (assieme alla sua appariscente presenza scenica con tanto di gestualità varie ed abbigliamento dark-gothic). Al di là del fatto che la sua voce possa piacere o meno, la frontwoman si rende, ancora una volta, protagonista di una prova eccellente dietro al microfono, senza grandi sviluppi tecnici rispetto a quanto già presentatoci negli album precedenti. Insomma, siamo di fronte ad un lavoro di indubbia qualità per le prove dei singoli musicisti (aiuta molto anche una produzione spettacolare ed esplosiva), ma che risente di qualche pecca a livello di songrwriting, senza contare che non è presente alcun vero capolavoro all’interno della tracklist, trattandosi di un concentrato di songs valide e scorrevoli, ma certamente non trascendentali. Per tale motivo, mi sento di dare solo un 7 a questo nuovo lavoro, nella speranza che i nostri olandesi preferiti tornino a sorprendere con brani davvero epici (ve la ricordate “Mother Earth”?) ed ancor più meritevoli.



Tracklist:

01. Why Not Me
02. Shot In The Dark
03. In The Middle Of The Night
04. Faster
05. Fire And Ice
06. Iron
07. Where Is The Edge
08. Sinéad
09. Lost
10. Murder
11. A Demon's Fate
12. Starway To The Skies



Voto: 7/10

2 commenti:

  1. Guarda, ho provato ad ascoltare qualcosina... ma proprio non ce la faccio... Comunque grande recensione, come sempre :-)

    E.

    RispondiElimina
  2. Grazie mille secco, gentilissimo! ;)

    RispondiElimina