lunedì 18 aprile 2011

CHILDREN OF BODOM - Relentless, Reckless Forever

I Bambini implacabili, spericolati…per sempre?


Nome Album: Relentless, Reckless Forever
Etichetta: Spinefarm Records
Data di uscita: 8 Marzo 2011
Genere: Melodic Death Metal


Introduzione:

E’ tendenza abbastanza comune da parte degli artisti, nell’ambito del metal e del rock, ritrovarsi, dopo una cospicua e fortunata carriera, a comporre album sempre più melodici e di “facile presa” sugli ascoltatori, poiché sanno in cuor loro che, bene o male, ci sarà ormai sempre qualcuno pronto ad ascoltarli e sostenerli, qualunque ciofeca buttino nell’intasato mercato musicale. Non è il caso dei Children Of Bodom, band finnica guidata dall’adrenalinico frontman Alexi Lahio, che, da quel Something Wild (1997) fino al quarto album Hate Crew Dethroll (2003), ha rinnovato un genere stantio come il death melodico, e ha stupito il mondo con quel metal tecnico, veloce e particolarmente melodico targato COB, creando innumerevoli proseliti. Dal successivo Are You Dead Yet? (2005) le cose sono cambiate: la produzione si fa più sporca e graffiante, il songwriting diventa più pesante ed orientato maggiormente verso il death e meno verso il power melodico, tanto che anche le tastiere assumono un ruolo più marginale rispetto al passato. E’ il turno di Bloodrunk (2008), che, se da un lato torna ad una produzione più pulita, dall’altro rappresenta un mezzo passo falso per la band. Troppo prolisso e avido di pesantezza, privo di melodie che restino impresse nella mente, Blooddrunk sembra segnare un lento declino per la band, considerata già alla deriva. Sembra che Alexi e soci abbiano avuto il loro periodo d’oro con i primi album, e si siano poi dispersi nei fumi alcolici della mediocrità. Almeno fino al nuovo Relentless Reckless Forever: un album la cui bontà cresce di ascolto in ascolto, rivelando finalmente delle buone idee da parte della band, in mezzo, però, ad altre più confusionarie ed inconcludenti. Questa nuova fatica la si può inquadrare come l’anello mancante tra il vecchio corso della band (quello più power-oriented, pomposo e melodico) e il nuovo corso (quello da AYDY in poi, per capirci). Non siamo di fronte ad un capolavoro (quelli, ormai, sono storia vecchia per i COB) ma ad un buon album certamente si. Le linee melodiche non sono troppo innovative, ma almeno restano in testa. Si muovono tra riff d’ispirazione death (questa volta riusciti), facendoci  dimenticare il pretenzioso Bloodrunk. Dopo questa breve e riduttiva introduzione, lascio a voi l’ascolto.


Track By Track:

Già è ottima la partenza di “Not My Funeral”, brano apripista che ha in sé tutte le ottime caratteristiche del combo finlandese. Un attacco puramente death metal lascia presto spazio alle rinate tastiere di Janne Wirman e ad un semplice, ma efficace, refrain lento. Superba ed ipnotica la prima delle varie sezioni d’assoli chitarristici e tastieristici che Lahio e Wirman hanno in serbo per i loro ascoltatori. Ottima partenza quindi, che lascia presto spazio ad un deciso ritorno al passato, dal titolo “Shovel Knockout”: un roboante basso distorto ed una chitarra graffiante aprono il brano, la cui strofa è basata su uno spietato e velocissimo riff death metal, con Alexi particolarmente incazzato dietro al microfono (per non parlare della sua prova funambolica alla sei corde). Ma è nelle splendide melodie tastieristiche di bridge e refrain che torna lo spettro ultramelodico di Follow The Repaer e Hate Crew Dethroll. Ancora una volta, ottimi e perfetti i solos di tastiera e chitarra, in cui è impossibile non pensare a vecchi stupendi brani come “Needled 24/7” o “Bodom Beach Terror”. Un’ottima canzone quindi, seguita a ruota dal mid-tempo “Roundtrip To Hell And Back” (una sorta di “Everytime I Die” leggermente più velocizzata), altro ottimo brano che non deluderà i fan di vecchia data, grazie a dei suoni e a delle melodie di tastiera che, ancora una volta, richiamano il vecchio songwriting della band. Una parte centrale e dei refrain decisamente potenti ed incazzati completano l’opera, lasciando spazio ad un assolo di tastiera rallentato alla fine (questa tecnica ricorda il finale della vecchia “Lil’ Blooded Ridin’ Hood”). Un’ottima tripletta iniziale, che fa ben sperare quindi, da cui, però, seguiranno i brani meno convincenti dell’album. “Pussyfoot Miss Suicide”, dietro al suo strano titolo, nasconde delle idee meno convincenti a partire già dall’incipit. Lungo il proseguimento dell’ascolto, ci pensano il buon ritornello, i consueti solos ed alcune discrete ripartenze ad alzare la sorte del brano, che, in fin dei conti, passa abbastanza inosservato. Non va meglio con la seguente “Relentless Reckless Forever”, altro brano abbastanza in linea con il precedente, ma ancor meno riuscito. Basata su tempi medi, questa title-track è ancora più pretenziosa del precedente brano, torna qualche fastidioso eco di Blooddrunk, le melodie non riescono a convincere, e nemmeno gli assoli sono memorabili come quelli a cui i COB ci hanno abituato da anni. Quindi, siamo di fronte ad una prima skip-song che lascia un certo vuoto nell’ascoltatore. Purtroppo nemmeno la seguente “Ugly” aiuta. Il titolo ben rispecchia la caratteristica di questa canzone. L’intro iniziale fa riprendere velocità all’album e le premesse sembrano davvero ottime, visto l’impegno profuso nel cercare di trovare dei riff convincenti e riusciti. Tuttavia, il brano si disperde ben presto in un impasto di accelerazioni e controtempi piuttosto lasciati a se stessi, coronati da un refrain decisamente poco riuscito (il peggiore dell’album, a mio avviso) e da un finale decisamente inconcludente. Si salva il breve assolo di chitarra, pur non essendo nulla di trascendentale. Dopo questa poco memorabile doppietta, torniamo a respirare con la tripletta finale, capeggiata da uno dei brani migliori del lotto: “Cry Of The Nihilist”, un brano veloce che già dall’intro e dall’ipnotica strofa, mette in campo una rinnovata ispirazione per Alexi e soci, con alcuni riuscitissimi stop’n’go di chitarra, seguiti da un buon ritornello melodico e da assoli pienamente convincenti e dannatamente ispirati. Fa piacere vedere come la band sia ancora in grado di mettersi in gioco e di stupire i propri ascoltatori. Il primo singolo estratto è il successivo mid-tempo “Was It Worth It?”. Ai primi ascolti questa canzone risulta acerba, lascia l’amaro in bocca, e di certo (prima dell’uscita dell’album) fa protendere l’ascoltatore all’idea che il nuovo full-lenght dei COB seguirà ancora una volta le orme di Blooddrunk. Tuttavia dopo ripetuti ascolti si denota una certa bontà nel songwriting, nonostante non sia un pezzo musicalmente assimilabile ai primi lavori. Sfido chiunque a non scatenarsi in uno sfrenato headbanging sulle macchinose ed articolate note della strofa. Il refrain risulta perfetto per il brano, pur non essendo un capolavoro. Insomma, in questa song tutto risulta abbastanza discreto, e nulla di più. La penultima esecuzione di questo RRF è affidata ad un tocco di thrash-hardcore, con la breve e velocissima “Northpole Throwdown”, la cui partenza al fulmicotone lascia tutti di stucco. Buona strofa e improvvise accelerazioni conducono ad un refrain grezzo e tirato, dal sapore hardcore, e ad un gasante assolo di chitarra. Una song abbastanza inusuale per la band, ma ottima per chiudere in bellezza questo nuovo lavoro dei Children Of Bodom. Considero l’album chiuso qui, poiché l’ultima traccia è un’inutile e poco riuscita cover di Eddy Murphy dal titolo “Party All The Time”. Tirando le conclusioni, si tratta di un album non particolarmente innovativo, ma, tutto sommato, abbastanza convincente, che farà sicuramente parlare di se, ancora una volta.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

La dualità di Relentless Reckless Forever è, in realtà, abbastanza opinabile: c’è chi sarà d’accordo con la mia visione d’idee, chi vedrà in questo nuovo lavoro nient’altro che la continuazione di Blooddrunk, e c’è anche chi sosterrà di trovarsi di fronte un ennesimo album tipicamente in COB style. Dipende da come ognuno vede il progresso (o, per alcuni, regresso) musicale fatto dalla band, e dipende da cosa l’ascoltatore voglia sentire da questo nuovo lavoro. Detto questo, passiamo all’aspetto tecnico della band, il quale, invece, non è in alcun modo discutibile: infatti è oggettivo il fatto che, fin dagli esordi, nella musica dei Bambini di Bodom spicchino soprattutto la grande capacità di Alexi Lahio nel destreggiarsi tra numerosi stili chitarristici ed il canto scream-growl,  senza alcun ostacolo tecnico, e il buonissimo gusto tastieristico di Janne Wirman, funambolico e preciso “key-hero”. Oltre alle due colonne portanti appena citate, notiamo come anche la tecnica del batterista Jaska Raatikainen sia cresciuta con gli anni, come si può notare nei passaggi di batteria più articolati. Il bassman Henkka Seppala ed il chitarrismo di Roope Latvala (fatta eccezione per qualche suo intervento solistico), pur essendo essenziali, restano piuttosto in secondo piano, offuscati dal muro sonico-tecnico ostentato dai loro compagni. C’è poco altro da dire: la produzione rasenta la perfezione, come ci si aspettava, e l’artwork di copertina è finalmente più variegato e complesso rispetto al passato. Vedetela come volete, ma a parer mio, nonostante qualche scivolone artistico, i COB sono una band che ha dimostrato, e dimostra tutt’ora, di saper crescere divertendosi.


Tracklist:

01. Not My Funeral  
02. Shovel Knockout
03. Roundtrip To Hell And Back
04. Pussyfoot Miss Suicide
05. Relentless, Reckless Forever
06. Ugly
07. Cry Of The Nihilist
08. Was It Worth It?
09. Northpole Throwdown
10. Party All The Time (Eddy Murphy Cover)


Voto: 7/10

3 commenti:

  1. Mah... sarà che i loro ultimi lavori mi hanno fatto perdere quasi ogni interesse verso la band, ma non mancherò di provare ad ascoltare anche questo album :-)

    E.

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  2. ma si prova, non ti costa nulla :) qualche buono spunto interessante secondo me lo trovi, quà e là... ;)

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