lunedì 11 aprile 2011

TURISAS - Stand Up And Fight

…E il viaggio continua!


Nome Album: Stand Up And Fight
Etichetta: Century Media
Data di uscita: 28 Febbraio 2011
Genere: Symphonic Folk Metal

Introduzione:

Arrivano, in questo 2011, al fatidico terzo disco anche i finlandesi Turisas, partiti discograficamente nel 2004 con quel manifesto del folk metal internazionale chiamato Battle Metal, che ha valso loro l’omonima etichetta musicale. Dopo 7 anni da quel fulmine a ciel sereno, e dopo un secondo capolavoro dal titolo The Varangian Way (2007), tornano con un disco che prosegue le atmosfere e le intenzioni di quest’ultimo album citato. Infatti, se le sonorità di Battle Metal erano decisamente orientate verso lidi folk-power, dal secondo disco il buon leader Mathias “Warlord” Nygård (voce, songwriter e mente della band) ha puntato molto di più sulle orchestrazioni e su arrangiamenti ultra-raffinati e pomposi come pochi, creando un suono epico e profondo, trionfale e sinfonico. Se, quindi, da una parte, il battle metal degli esordi è stato messo in secondo piano, la sinfonia ha iniziato, d’altro canto, ad impadronirsi dei Turisas. Stand Up And Fight prosegue così questo discorso, con arrangiamenti sinfonici sempre più complessi (indice di una sempre più crescente maturazione stilistica in fase di songwriting) ed un attitudine sonora sempre più cinematografica. Anche liricamente, il nuovo disco prosegue il viaggio e le gesta dei Varangiani (un antico gruppo di vichinghi), narrati nel concept-album precedente. Continuando il paragone con il passato della band, questo nuovo capitolo della band finnica, nonostante gli arrangiamenti e la composizione acquistino sempre più valore, perde un po’ di valore sul lato dell’immediatezza rispetto al suo predecessore (considerando l’esordio stilisticamente diverso dai restanti album, escludiamolo pure dai nostri paragoni): se infatti TVW era un album sorprendentemente dinamico e vincente, il nuovo SUAF, tentando palesemente di seguirne la scia, risulta leggermente meno ispirato, più derivativo e meno fresco. Si tratta, ovviamente, di piccolezze, per chi volesse andare alla ricerca del proverbiale pelo nell’uovo. Quel che conta è comunque l’ottima musica di classe contenuta in questi 46 minuti (bonustracks escluse), e sfido chiunque a non sentirsi almeno un po’ immerso nelle epiche, cinematografiche ed “odisseiche” atmosfere marchiate a fuoco e ferro dai Turisas.


Track By Track:

La suddetta epopea dei Varangiani, alla base del concept storico dell’album precedente, continua in questo nuovo lavoro attraverso l’apripista “The March Of The Varangian Guard”, brano diretto ed epico che esplode in un refrain corale e marciante. I connotati musicali della band vengono subito svelati e messi in luce: musica sinfonica e trionfale, a suggellare un’atmosfera emozionante adatta alla storia narrata. Da questa prima traccia, pare che i Turisas non abbiano comunque alcuna intenzione di abbandonare quei ritmi battaglieri in terzine (che li accompagnano fin dai tempi dell’ottimo Battle Metal), pur sempre in secondo piano, a partire da The Varangian Way, rispetto all’impianto sinfonico. Un crescendo di trombe apre il seguente mid-tempo dal titolo “Take The Day!”, sicuramente uno dei brani maggiormente riusciti del lavoro, con, ancora una volta, un azzeccatissimo ritornello da cantare a squarciagola con corna bene in vista, al grido di “Rising! Fighting!”, su un tappeto di sinfonie malinconiche ed atmosferiche. Il fade-out del brano ci conduce a “Huning Pirates”, che, già dal titolo e dalla melodia folkish iniziale, ci porta alla mente i maestri del pirate metal scozzese, tali Alestorm. Le melodie allegre di strofe e refrain e l’atmosfera indubbiamente piratesca altro non fanno che reiterare questa sensazione lungo tutta la durata del brano, abbellito da qualche strano controtempo in certi punti. Un brano, in definitiva, piacevole ed allegro, come altri ve ne sono stati nella carriera dei Turisas (come ogni buona folk metal band che si rispetti), ma non eccelso. L’inizio di “Venetoi! Prasinoi!” (non chiedetemi quale sia la traduzione di questo titolo), sembra faccia continuare questa tendenza alle melodie allegre, ma, in realtà, si traduce in preludio ad un brano particolarissimo, fin troppo strano per essere apprezzato subito ad un primo ascolto. Infatti lo scoppiettante intro di trombe prosegue in una corsa dai ritmi frenetici, dall’incedere ansioso e quasi schizoide (numerosi stop’n’go tengono alta la tensione), in cui la voce compare solo per una breve strofa. Dopo questo sorprendente brano, decisamente originale, la marcia prosegue con il nuovo anthemico inno della title-track “Stand Up And Fight”, in cui torna prepotentemente il classico ritmo del battle metal degli esordi. L’indole battagliera è assicurata, ma, nonostante ciò, anche dopo ripetuti ascolti, questa title-track non riesce ancora a convincermi appieno nelle orchestrazioni, che sembrano, stranamente, scarne, soprattutto nel refrain: questo, infatti, pur intenzionato ancora una volta a farci innalzare al cielo una spada e a caricarci di adrenalinica esaltazione, non riesce tuttavia a colpire fino in fondo. Il seguente “The Great Escape” torna a calcare melodie chitarristiche meno battagliere e più volte al folk, per poi proseguire in un mid-tempo dalla strofa pesante cantata in growl (in questo album generalmente meno presente rispetto al passato) e dal ritornello originale e molto piacevole. In seguito, il brano si trasforma in un ennesimo esempio di metallo battagliero, portando ai cori e all’outro sinfonico finale. Un brano che può risultare piacevole nelle sue singole parti, ma poco funzionante, a mio avviso, nell’amalgamazione generale. Va meglio con il brano successivo, intitolato “Fear The Fear”. Dopo un’introduzione su ritmi incalzanti e melodie malinconiche, la song si dipana con un incedere incalzante e sinfonico, senza aggiungere troppo all’economia dell’album, se non delle belle melodie ed un ottimo ritornello. Da notare l’ottimo e, purtroppo, breve intervento thrasheggiante posto nell’ultimo minuto di canzone, seguìto a ruota dal coro finale, perfetto per chiudere la song (ricorda molto la conclusione della vecchia “Five Hundred And One”). Arriviamo così alla penultima song, che, oltre ad essere il brano più lungo dell’album (7 minuti), è anche uno dei più riusciti: in questa “End Of An Empire”, risiede il pezzo più esaltante dell’intero lavoro, ovvero un intervento sinfonico-corale nel refrain, talmente corposo ed evocativo da far accapponare la pelle a chiunque si presti al suo ascolto. Il brano prosegue su una base di  cavalcata nelle numerose strofe e nella parte finale, anche qui accompagnata da un possente coro, fino all’esplosione sinfonica finale. Davvero un brano interessante, anche se, devo ammetterlo, sarebbe stata necessaria anche qui una maggiore cura nell’amalgamazione delle varie parti della suite, che risultano così troppo slegate l’una dall’altra. Chiude il concept “The Bosphorus Freezes Over”, una sorta di lungo e lento outro, che prosegue alternandosi tra Mathias, in una riuscita veste di narratore, su base cinematografico-sinfonica ed un coro malinconico, tessente una litania in lingua madre (o almeno sembra…). Un brano, francamente, non indispensabile, ma comunque ben posizionato per concludere l’opera ed, assieme ad essa, il concept dei Varangiani. Nella versione bonus sono presenti due cover ben eseguite: “Broadsword” dei Jethro Tull, e la schizzata versione di “Supernaut” dei maestri Black Sabbath. Simpatiche, ma nulla di più.


Considerazioni Tecniche e Conclusive:

Lavoro quindi riuscito, questo nuovo SUAF targato Turisas. Certo, non si può fare a meno di notare qualche piccolo scivolone e qualche sporadico difetto qua e là che porta l’album ad essere, a mio avviso, di un passo inferiore al precedente lavoro. Tecnicamente la band non dimostra capacità tecniche eccezionali, le chitarre si mantengono su un profilo decisamente ritmico, addentrandosi raramente in sporadici assoli, per altro di discreta qualità. Il basso e la batteria sono molto, troppo statici, e pochi sono i giochi ritmici che restano davvero impressi, preferendo entrambi rimanere su una dimensione ritmicamente statica e prettamente “asettica”. Per quel che concerne il violinista Olli Vanska e la bionda neo-fisarmonicista Netta Skog (qui alla sua prima prova su disco), data la particolarità dei loro strumenti, è più facile identificare il loro ruolo on stage, rispetto alla prova su disco. Mathias si rivela un cantante discreto, ma nulla di più: alterna parti in clean su timbriche basse e ruvide, a parti cantante in un non trascendentale growl-scream. Ma quindi, che c’è di buono? Questo è uno di quei casi in cui non sono tanto le abilità tecniche ad essere importanti, ma ciò che conta sono gli arrangiamenti sinfonici, il feeling generale, il contesto storico perfettamente riproposto in musica. E, su questo, è innegabile riuscire a vedere come i Turisas ne escano vincenti. Come già citato durante il track by track, ci sono alcune tracce che peccano di completezza, mentre altre sono comunque basate su delle idee ricercate e, nel complesso interessanti, ribadendo comunque una generale ricercatezza nel sonwriting e negli arrangiamenti. La produzione è pulita e cristallina, pomposa al punto giusto, e mette in risalto soprattutto l'orchestra (questa volta ne è stata utilizzata una vera). E’ quindi piuttosto difficile dare un giudizio a quest’album: un disco che necessita di vari ascolti prima di essere valutato, e prima di capire che, in fondo, non si tratta né di un capolavoro né di un passo falso. I Turisas sono tornati, prendere o lasciare.


Tracklist:

01. The March Of The Varangian Guard  
02. Take The Day!
03. Hunting Pirates
04. Venetoi! – Prasinoi!
05. Stand Up And Fight
06. The Great Escape
07. Fear The Fear
08. End Of An Empire
09. The Bosphorus Freezes Over


Voto: 7/10

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