STONES GROW HER NAME
Etichetta: Nuclear Blast
Data di uscita: 18 Maggio 2012
Genere: Power Metal
Introduzione:
Nel colorito mondo del power
metal, si sa bene che esistono band che nella loro carriera portano avanti
coerentemente il loro marchio e, con una qualità bene o male sempre discreta,
si assestano sul loro sound (Iron Savior, Gamma Ray, giusto per fare qualche
esempio); poi ci sono quelle band che preferiscono inserire sempre qualcosa di
innovativo ad ogni uscita discografica, riuscendo nell’intento di catturare
sempre e comunque l’attenzione di devoti fans (Blind Guardian, ecc…), ed infine
ci sono quelle band intente a stupire con novità e con variazioni di stile,
senza però riuscire ad essere pienamente apprezzate lungo tutta la loro
carriera. In quest’ultima categoria rientrano senza dubbio i finlandesi Sonata
Arctica: la band esplose come una bomba nel mercato power europeo con tre album
di classico power metal melodico scandinavo, ma forte di un songrwriting
roccioso ed originale, a partire dal sublime “Ecliptica” del lontano 1999. Dopo
“Reckoning Night” (2004), un album più sperimentale ma ugualmente stupendo ed
ispirato, la band inizia un nuovo corso col controverso “Unia” (2007): spariscono
la doppia cassa e lo speed-power che fece grande questa band, mentre le
partiture e le strutture vengono infarcite di prog e divagazioni strumentali
molto ricercate. La voglia di freschezza esercitata in “Unia” non funziona però
a dovere, rendendo il disco di difficile digeribilità, così come accade al seguente
“The Days Of Grays” (2009), che tenta parzialmente di recuperare alcuni stilemi
del vecchio corso, non riuscendo nei suoi intenti. Alla luce di questo, il
nuovo parto “Stones Grow Her Name” restituisce una band su una giusta rotta?
Solo in piccola parte. I Sonata Arctica, infatti, ci propongono alcune tracce
finalmente meno prolisse, più immediate e dirette, come da tempo non si
sentivano uscire dai loro strumenti. Assieme a queste, però, non mancano
farciture pseudo-sperimentali che provano in tutti i modi a stupire, ma che in
fin dei conti ci lasciano ancora l’amaro in bocca. Manca realmente la
freschezza in questa band; c’è la volontà di voler andare fuori dagli schemi
per non ripetersi (scelta giusta e rispettabile), ma manca la capacità di
trovare le soluzioni giuste per farlo. Considerato tutto ciò, “Stones Grow Her
Name” risulta essere un’occasione sprecata. Non tutto l’album è da scartare,
certamente, ma non posso nascondere un filo di delusione per una band che aveva
molto da dire e da insegnare a tanti suoi colleghi, ma che spesso si perde nei
meandri di una sperimentazione che, forse, non le appartiene.
Track by Track:
I Sonata Arctica si ripresentano
sul mercato con “Only The Broken Hearts (Make You Beautiful)”, un mid-tempo
semplice ed immediato che riporta subito in mente l’album “Reckoning Night”.
L’introduzione elettronica lascia spazio a belle melodie di chitarra supportate
da un tappeto atmosferico di tastiera, che sfociano senza tanti riempitivi nel
bel refrain. Nulla di nuovo in realtà, ma il brano funge molto bene da
apripista. “Shitload Of Money” viene introdotta da un riffing quasi
industrial, per poi proseguire su binari heavy-hard rock nella strofa. Siamo
dinnanzi ancora una volta ad un classico mid-tempo in stile Sonata Arctica:
immediato e roccioso, come da un po’ non si sentiva uscire dalla penna dei
finlandesi. Come al solito, spiccano alcuni arrangiamenti di tastiera molto
curati che impreziosiscono un brano semplice ma ancora efficace. Insomma,
ancora una canzone piacevole e di facile ascolto. Soavi note di pianoforte
introducono il veloce riffing di “Losing My Insanity”. Sembra
incredibile, ma pare quasi che la band sia finalmente tornata sui propri passi,
poiché anche per questa traccia il riferimento più lampante è quel “Reckoning Night”
che fece da spartiacque stilistico tra il power melodico degli esordi e il
power-prog sperimentale degli ultimi anni. Torna la doppia cassa, le casse
dello stereo si riempiono di cori, melodie, un ritornello arioso e convincente,
assoli ben fatti. Questa song è, ancora una volta, un episodio godibile seppur
poco originale, soprattutto nel riffing. “Somewhere Close To You” è giostrata
su un riff di chitarra piuttosto aggressivo, ma il ritornello non riesce a
catturare appieno l’attenzione, rendendo il brano abbastanza trascurabile ed in
fin dei conti piuttosto piatto e poco convincente. Dopo questo mezzo passo
falso è il turno del singolone “I Have Right”, probabilmente uno dei
brani più commerciali scritti dalla band. Eteree melodie di tastiere convergono
in un mid-tempo/ballad dal sapore ruffiano e catchy. Le atmosfere oscure create
dal pianoforte garantiscono, nonostante tutto, un certo fascino al brano e
riconsegnano un episodio gradevole, ma non eccezionale nelle strutture e negli
arrangiamenti. Manca ancora la proverbiale “botta”, quel brano in grado di
catturare e di far scatenare tutta l’adrenalina metallica: lo stesso difetto
che ha contrassegnato “Unia” e “The Days Of Grays”. Peccato che il resto della
tracklist, da questo punto, consegni dei brani meno gradevoli di quelli fin qui
ascoltati, a partire da “Alone In Heaven”, un altro mid-tempo
che mostra delle buone idee negli arrangiamenti e discrete scelte melodiche ma
scade in un ritornello poco convincente. Più o meno lo stesso discorso vale per
la seguente “The Day”, dove delle buone idee vengono sfruttate probabilmente
male e convergono in un brano decisamente sperimentale (sarebbe stato perfetto
su un disco come “Unia”) ma privo di mordente. Belle le atmosfere create da
tastiera e chitarra acustica, ma manca una linea-guida, un motivo che dia senso
al brano, il quale anche in questo caso va a scivolare proprio su un ritornello
scialbo e passivo. Proprio dove l’eccessiva lentezza dei pezzi inizia a pesare
sull’economia del disco, ecco arrivare lo sfarzo di “Cinderblox”, un esempio
deciso di country-metal! I mandolini (o simili) dominano le strofe accompagnate
da chitarre elettriche e batteria veloce. Un altro brano sicuramente
sperimentale, coraggioso, simpatico e gradevole, che perlomeno alza il tiro del
disco dando un po’ di freschezza alla proposta. Ecco giungere alla ballad
mielosa e ruffiana, immancabile nei dischi di Kakko e Co., che risponde al nome
di “Don’t
Be Mean”: una buona ballad old-school, che ricorda molto da vicino le testimonianze
romantiche dei primi Europe. La chitarra acustica ed il pianoforte tessono un
tappeto delicato e corposo, su cui si innesta la convincente prova vocale di
Kakko. Ben riuscito è l’assolo di violino centrale. Ricordate la mitica ed
aggressiva “Wildfire” su “Reckoning Night”?
Bene, ora i Sonata Arctica cercano di darle un seguito con due pezzi a mio
avviso non riusciti come “Wildfire II - One With The Mountain”,
dove riff di chitarra aggressivi non riescono a supplire scelte melodiche
troppo morbide e scontate. La struttura del brano è pregna di parti che non
riescono a dare continuità al pezzo (compresa la reprise della melodia del
pezzo originale), rendendo difficile la concentrazione. Questo pezzo troppo
caotico, nell’indifferenza lascia spazio alla conclusiva “Wildfire III - Wildfire Town,
Population: 0”, dove vale lo stesso discorso
della traccia precedente: il brano gode di stacchi aggressivi micidiali, che
non vengono però sfruttati a dovere. Siamo infatti dinnanzi ad un brano poco
sicuro, ancora caotico e troppo pretenzioso, che scorre per 8 (in realtà 6)
lunghi minuti senza riuscire a catturare l’attenzione. Inevitabile quindi la
sensazione di incompiutezza finale.
Considerazioni Conclusive:
Ad ascolto concluso, rimane
quindi ben poco di sostanzioso in questo nuovo atteso lavoro della band
finnica. Manca la scintilla, la miccia che permetta ad un album metal di
esplodere d’adrenalina e di potenza, pertanto SGHN resterà probabilmente
sepolto nella polvere del tempo. I musicisti sono indubbiamente ottimi
esecutori: se pensiamo al chitarrista Elias Viljanen e al tastierista Henrik
Klingenberg è facile constatare come siano particolarmente abili con i propri
strumenti, sia in fase solistica, melodica o anche in ambito di
accompagnamento. La sezione ritmica di Marko Paasikoski al basso e Tommy
Portimo alla batteria, si assesta invece su capacità precise ma abbastanza ordinarie,
senza strafare, come sempre i due musicisti hanno mostrato nel corso degli
anni. Il vocalist e mastermind Tony Kakko gode ancora di un’ottima qualità
interpretativa e trascina bene il carrozzone, ma sembra abbia perso mordente
rispetto ai vecchi album. Insomma, era dannatamente più convincente in album
come “Silence” o “Winterheart’s Guild”. E’ il songwriting a peccare ancora una
volta però: qualche brano piacevole c’è, ma molte canzoni sono lente, poco
dinamiche, spesso stanche e non aiutano a dare virilità a SGHN, il quale, brano
dopo brano, inizia a stancare l’ascoltatore. Il percorso della band intrapreso
con “Unia” e in parte con “Reckoning Night” viene quindi parzialmente continuato
anche con questo nuovo album, ma non c’è nulla da fare: anche in questo nuovo
disco manca l’estrema immediatezza e velocità di tracce come “Full Moon”, “San Sebastian” o “Wolf &
Raven” o se non altro la freschezza compositiva di un brano come “White Pearl, Black Oceans...”.
Onestamente, si sente anche la mancanza di un asso come Jani Liimatainen,
l’ex-chitarrista della band. Se non altro, l’artwork risulta molto interessante
e simbolico, ma chiaramente non basta per esaltare un album poco più che
sufficiente. Se vi piace il nuovo corso della band, allora questo è un disco
per voi. Se amate i veri Sonata Arctica, non perdete tempo con “Stones Grow Her
Name” e tornate a sentirvi la vera qualità di “Ecliptica”.
Tracklist:
01. Only The Broken Hearts (Make
You Beautiful)
02. Shitload Of Money
03. Losing My Insanity
04. Somewhere Close To You
05. I Have Right
06. Alone In Heaven
07. The Day
08. Cinderblox
09. Don’t Be Mean
10. Wildfire II - One With The Mountain
11. Wildfire III - Wildfire Town,
Population: 0
Voto: 6,5/10
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