THE POWER WITHIN
Etichetta: Electric Generation Records
Data di uscita: 16 Aprile 2012
Genere: Melodic Power Metal
Introduzione:
Volenti o nolenti, li conosciamo
tutti. Questa band di cui mi accingo a parlare ha visto crescere la propria
popolarità in maniera esponenziale negli ultimi dieci anni; che sia per le
velocità ultrasoniche proposte, per gli assoli esagerati e spesso fuori
contesto, per la loro concezione più aerobica che musicale del concerto, i
britannici Dragonforce non sono mai stati particolarmente stimati dalla critica
internazionale, riscontrando, tuttavia, apprezzamenti sempre più cospicui dagli
ascoltatori di power metal, ma non solo. La band del pepato chitarrista Herman
Li ha di recente affrontato l’abbandono dello storico frontman ZP Theart, che
ha lasciato il gruppo nel 2010.
A quattro anni di distanza dal discutibile
“Ultrabeatdown”, tornano in campo nuovamente, con gli stessi ingredienti di
sempre. Ma qualcosa è cambiato, in meglio: già dando un’occhiata al minutaggio,
ci si rende conto che gli sbrodoli di 8-9 minuti, praticamente d’obbligo in
ogni uscita post “Valley Of The Damned” (lo stupendo esordio del 2003), non
sono presenti. Ebbene, ciò che potrebbe essere solo un semplice aspetto di
secondo piano, si rivela una parte importante di quelli che sono i nuovi
Dragonforce: “The Power Within” è di gran lunga il miglior lavoro partorito
nell’intera storia della band, al pari dell’esordio. Rimangono le melodie
curatissime, rimane la potenza e l’impatto delle chitarre; la supervelocità c’è
ancora, ma solo in alcuni brani. Assieme a tutto ciò, notiamo la presenza di
solos più ragionati, di una riduzione drastica di comiche keyboards alla
Supermario, e la presenza di un paio di graditissimi mid-tempos; davvero una
sorpresa per chi conosce bene la band britannica. Insomma, i Dragonforce sono
cresciuti, si sono ridimensionati. Hanno aspettato quattro anni per ricaricare
bene le batterie e per riorganizzare al meglio le idee, confluendo tutta questa
nuova energia nel nuovo disco. Ora finalmente, con queste nove canzoni, sono
degni di essere esaltati anche dalla critica e di essere apprezzati in toto per
ciò che suonano, ovvero un elettrizzante power europeo, non sempre originale,
non sempre eccezionale, ma estremamente melodico e potente, come è giusto che
sia. In tutto ciò, una buona dose d’attenzione è posta su Marc, il nuovo
giovane singer, che, a dirla tutta, non fa rimpiangere nemmeno per un attimo il
discreto ZP, un cantante che non è mai riuscito a brillare nella musica del
combo; ora, invece, anche il cantante ha un ruolo di spicco nella band.
Bentornati Dragonforce, questa volta avete sorpreso positivamente!
Track by Track:
Qualche epica melodia e acuti su
tonalità altissime introducono “Holding On”, il primo brano dei
nuovi Dragonforce. La velocità di esecuzione del brano è davvero elevata, come
i Dragonforce stessi ci hanno abituati negli anni passati, ma fin da subito
notiamo che le sezioni strumentali inutili e ripetitive sono state
drasticamente ridotte, dando finalmente giustizia al tocco supersonico della
band. Finalmente riusciamo ad apprezzare meglio la potenza del gruppo, grazie
ad una song energica ed accattivante, sia nelle strofe che nell’arioso refrain.
Spicca l’esecuzione folle del drummer Dave e la convincente voce della new
entry Marc. Un ottimo biglietto da visita, che lascia spazio alla successiva
ancor più bella “Fallen World”, non troppo originale, ma epica nelle sue melodie
e dallo stile inconfondibilmente Dragonforce, tra blast-beats e fraseggi
velocissimi. Il ritornello è melodico e piacevolissimo, nella tipica tradizione
power, grazie anche alle ottime linee vocali di Marc. Fin qui, nonostante lo
stile sia ancora inevitabilemente legato al passato, il tutto è reso più
scorrevole, grazie a minutaggi drasticamente ridotti e a partiture strumentali
e virtuose più concentrate e finalizzate. Arriva la prima sorpresa con “Cry
Thunder”, brano anticipato da un videoclip. Si tratta di un mid-tempo,
allegro e saltellante, in cui Herman Li e soci si destreggiano bene tra curatissime
melodie di chitarra pseudo-folkeggianti. Un brano indubbiamente privo di idee
geniali o troppo originali, ma degno comunque di essere ricordato nella
discografia del gruppo. La forza di questo mid-tempo sta nelle melodie fresche
e scintillanti e nel buon refrain, creato appositamente per la dimensione live.
Dopo questa gradita sorpresa, si torna a pestare l’acceleratore, questa volta
in maniera meno estrema e virulenta, con un classico brano power europeo: “Give
Me The Night”, nonostante un titolo dal sottofondo glam, riesce a
convincere, ma non a stupire. Le chitarre sono perfette nei loro veloci e
tecnici riff, così come le convincenti strofe ed il ritornello melodico e
ruffiano garantiscono quattro minuti e mezzo piacevoli e godibili. Molto interessante
la parte centrale, con accordi più lenti e cadenzati, prima di un bellissimo
assolo di chitarra. Un delicato pianoforte introduce quella che apparentemente
sembrerebbe una ballad: nulla di più sbagliato, perché “Wings Of Liberty” è in
realtà un’altra bordata di power metal epico e velocissimo. Ritengo che i
Dragonforce non abbiano mai creato un brano così intenso come questo; tutto
suona incredibilmente potente ed è al posto giusto. Le melodie, la voce,
l’accattivante incedere del brano, gli stacchi puliti, gli assoli: tutto ciò contribuisce
a creare quello che ritengo essere il brano più bello in tutta la discografia
della band. Probabilmente, a molta gente sembrerà un classicissimo brano power,
ma “Wings Of Liberty” possiede
qualcosa in più, un mood fresco e accattivante, capace di dare speranza e forza
interiore anche al più depresso dei metallari. Bellissimo anche il curatissimo
assolo centrale. Un brano di musica eccellente, consigliato a chi è in cerca di
felicità e di voglia di vivere. Il successivo, è un altro ottimo brano che
testimonia la rinnovata freschezza della band: “Seasons” si presenta come
un altro mid-tempo graffiante e convincente fin dal primo ascolto, grazie a
strofe aggressive e dirette e ad un refrain coinvolgente e passionale, dove Marc
si adagia su linee vocali morbide e baritonali, ma perfette. Azzeccato
l’intermezzo potente e melodico, prima di un perfetto e gradevole scambio
solistico tra le chitarre e la tastiera. Il fading del brano ci porta alla
successiva “Heart Of The Storm”, dove i Dragonforce ritornano a velocizzare
la loro proposta, con un power metal veemente e repentino. Nonostante gli
intenti delle ottime strofe ed i bei solos, il ritornello fatica a decollare,
così l’intero brano tende ad assomigliare a tante vecchie canzoni del gruppo
senza presentare molta varietà stilistica e senza il giusto mordente, presente
maggiormente nei primi brani del disco. Dopo questo classicissimo brano alla
Dragonforce, la band si ripropone con un altro brano power, meno veloce ma sempre
infuocato, che perlomeno presenta però qualche spunto più interessante: “Die
By The Sword” non gode di un refrain eccellente, ma ha dalla sua parte
degli interessanti arrangiamenti di chitarra, delle strofe precise e
convincenti ed uno stupendo intermezzo lento e malinconico, con un intervento
solistico emozionante e particolarmente sentito, prima della spiazzante ripresa
di velocità che conduce al finale. Dopo un brano degno di nota ma non
trascendentale, arriviamo al finale con “Last Man Stands”. Nella breve
introduzione di tastiere pare quasi di sentire i Linkin Park più elettronici e
recenti (scusate l’ingombrante paragone), ma le cose virano ben presto verso un
canonico power melodico e arioso, pregno di positività e speranza: del resto, i
Dragonforce sono anche questo. Al di là della canonicità del pezzo, “Last Man Stands” non esagera con la
velocità e gode di un buon refrain melodico e di un ottimo e perfetto crescendo
solistico dei chitarristi e del tastierista. Arriviamo così agli acuti finali,
che concludono degnamente questo ritrovato spirito della band britannica,
esposto nei nove brani di questo pregevole come-back discografico. Delle varie
bonus-tracks dell’edizione speciale, cito solamente la versione acustica di “Seasons”, un piccolo gioiellino in grado
di far risaltare ancor di più arrangiamenti e melodie del pezzo originale.
Considerazioni Conclusive:
Colpo centrato per il combo
britannico. Dopo un album piuttosto deludente, sotto molti aspetti, come
“Ultrabeatdown”, TPW riesce a risollevare le sorti di una formazione che negli
anni ha cercato di portare perlomeno una ventata nuova nel power, introducendo
velocità d’esecuzione al limite dell’umano e suoni spesso grotteschi. Non si
può nascondere che la monotonia nei loro pezzi stava iniziando a prendere il
sopravvento; l’eccesso iniziava a diventare un irrinunciabile vezzo che andava
inevitabilmente a soffocare la composizione e la qualità della musica. Per
fortuna, ora sembra che Herman Li abbia finalmente capito che non serve essere così
eccessivi per poter essere ricordati. Infatti l’operato suo e di Sam Totman
alle chitarre si impone, come sempre, con potenza e precisione tecnica nelle
complesse partiture ritmiche, mentre nei solos qualcosa è cambiato rispetto al
passato; più melodia, più ricercatezza e meno miliardi di note sbrodolate a
caso in una battuta. Perfino il basso di Frederic Leclercq assume un ruolo
fondamentale e in moltissime occasioni funge da collettore tra un riff e
l’altro attraverso repentini fraseggi di basso, che lasciano intendere una
buona capacità tecnica (mai particolarmente dimostrata nel power melodico).
Altro punto chiave è la tastiera: i suoni ridicoli pseudo-videogame anni ’80
sono praticamente scomparsi. Al loro posto i tappeti sinfonici e pianistici diventano
maturi e fondamentali, senza scordare qualche ottima prova solistica, il tutto
ad opera di un ispirato Vadym Pruzanov. Non si notano grandi differenze nel
drumming di Dave Mackintosh, sempre preciso, dinamico e velocissimo, essenziale
per gli intenti del gruppo. Le luci sono però tutte puntate su Marc Hudson, un classico
power-metal-singer, dotato di tecnica, carisma, di estensione e del giusto
calore esecutivo. La differenza con la sterilità di ZP si sente; Marc ha
indubbiamente portato un’ulteriore grammo di freschezza nella band. La
produzione è perfetta per la proposta: potente ma anche lievemente aggressiva
nel suono delle chitarre, mentre sul versante artwork, la band dovrà ancora
lavorare: così come molte precedenti, anche la copertina di TPW è davvero
insignificante. Ma è il songwriting a fare davvero la differenza: tutto suona
più equilibrato e ridimensionato, con una qualità compositiva in molti casi
davvero matura ed elevata. Insomma, c’è molto di cui sperare per il futuro dei
Dragonforce, ma intanto godetevi senza remore questo nuovo piccolo gioiellino
del power moderno.
Tracklist:
01. Holding On
02. Fallen World
03. Cry Thunder
04. Give Me The Night
05. Wings Of Liberty
06. Seasons
07. Heart Of The Storm
08. Die By The Sword
09. Last Man Stands
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