giovedì 24 maggio 2012

AELEGY - Highness Of The Fallen


--- Autoproduzioni ---

HIGHNESS OF THE FALLEN

Anno: Dicembre 2011/Gennaio 2012
Genere: Symphonic Black Metal
Line-Up:
Massimiliano Mantovanelli – Vocals;
Leonardo Fravezzi – Guitars;
Riccardo Spadi – Guitars;
Matteo Fiori – Bass Guitar;
Matteo Polinari – Drums;
Enrico Marchiotto – Guest Keyboards.
               

Recensione:

La scena black metal sinfonica veronese ha un altro discepolo al suo servizio. Dopo il successo, non solo italiano ma anche estero, dei Riul Doamnei (una della band più conosciute nel veronese), negli ultimi tempi si stanno facendo largo a forza anche giovani band dallo spirito attivo e decisamente creativo. Tra queste, meritano una certa attenzione gli Ǽlegy, attivi dal 2010. La giovane band ha recentemente rilasciato un breve demo autoprodotto, la prima fatica in studio di questi 5 ragazzi (anche se recentemente sono rimasti in 4), dall’enigmatico titolo di “Highness Of The Fallen”. Dietro ad una bella copertina ad opera di Alexander (Hedera Art), mostrante una sorta di rielaborazione di alcuni disegni di manoscritti del 1500, si nascondono degli interessanti pregi in queste 5 tracce. Ciò che balza subito all’orecchio e che mi ha colpito positivamente in questo lavoro, ad un primo e rapido ascolto, è che la band gode di una buona ed originale vena creativa, in grado di farla già scostare significativamente dalle leggende del sympho-black internazionale (Dimmu Borgir e Cradle Of Filth, sempre inevitabilmente citati quando si parla di questo filone musicale) anche se i riferimenti al sound dei mostri sacri non mancano; la maggior originalità della loro proposta è quindi un fattore che gioca decisamente a favore degli Ǽlegy. Ciò è infatti riscontrabile immediatamente nel primo brano “Standing By The Stygian Veil”, dove una cupa introduzione sinfonica lascia ben presto spazio a delle azzeccate melodie pseudo-folk, trasformando il pezzo in un evocativo e convincente epic-black metal. Le sorprese non finiscono perché anche le seguenti “Entice The Firmament” e soprattutto “Pandemonium” mostrano delle buone idee che miscelano un po’ di sympho-black old style con un approccio oscuro ma innovativo; in “Entice The Firmament” il sound della prima parte si assesta su intenti gothic-black, mentre il bel finale, grazie ai suoi oscuri innesti di pianoforte, si avvicina ai migliori Dimmu Borgir di “Spiritual Black Dimensions”. La “behemothiana” “Pandemonium” è invece un altro godibile pezzo dotato di una vena epica nell’atmosfera e di un sound particolarmente pesante e feroce nei riff chitarristici, in mezzo alla quale spuntano interessanti arrangiamenti ben curati. Più canonica risulta invece “Desacralize His Throne”, brano fortemente legato ai primi Cradle di “Dusk And Her Embrace”, mentre siamo di fronte ad un ulteriore gustoso pezzo con la conclusiva “Let The Symphony Bound Your Spirit”, brano lento, dai toni gothic, epico e melodico, in cui giocano un ruolo fondamentale le numerose melodie chitarristiche e gli inserti sinfonici di tastiera, concludendo il tutto con un pregevole tocco di pianoforte. Quindi tirando le somme, a livello compositivo gli Ǽlegy se la cavano già alla grande per essere solo al primo demo della loro carriera. Tuttavia, a minare molto l’intero “Highness Of The Fallen” persistono alcuni aspetti che ne rappresentano delle indubbie pecche. Partiamo da mixaggio e produzione: i suoni non sono sempre ben amalgamati e in alcune occasioni si riesce a fatica a distinguere bene le partiture degli strumenti ed in tale contesto il basso di Matteo è forse il più penalizzato, a livello di resa esterna. L’altro elemento debole del demo è, a mio parere, la sezione ritmica generale, poiché gli impulsi scanditi dalla grancassa sono un po’ imprecisi (credo che la batteria non abbia subito alcun processo di editing), di conseguenza basso e chitarre ritmiche spesso non sono coordinati con essa e ciò tende a minare la fluidità dell’intero lavoro. Singolarmente i musicisti dimostrano buone doti ai rispettivi strumenti: su tutto spicca la voce di Massimiliano, singer versatile in grado di esprimere un brillante scream alternato sapientemente a perfette partiture di growl, profondo ed espressivo; le chitarre di Leonardo e Riccardo si destreggiano bene nelle ritmiche anche se sul versante solistico necessitano di una maggiore ricercatezza ed espressività; anche Matteo al basso si dimostra un buon esecutore, anche se purtroppo penalizzato dal mix dell’album; il drummer Matteo pecca un po’ in accuratezza, ma non disdegna qualche ottimo passaggio e sono convinto avrà modo di accrescere precisione ed inventiva, inoltre (quest’ultimo è un parere puramente personale) qualche bella sfuriata di blast-beat non avrebbe guastato in un lavoro come questo; infine un plauso va anche alle tastiere del guest Enrico, essenziali nel dare la giusta atmosfera ai brani durante i momenti topici. Insomma, siamo certamente di fronte al primo demo, dove non mancano numerose imprecisioni, ma la band ha tutto il tempo necessario per crescere e sviluppare precisione, sound e quant’altro: tutti aspetti destinati a migliorare nel tempo con una buona dose di pazienza ed esperienza, sia in sala prove, sia durante i live-shows. L’inventiva già c’è, si percepisce, e questo è già un aspetto assolutamente importante per una nuova band. Il resto verrà col tempo. Avanti così.


Tracklist:

01. Standing By The Stygian Veil
02. Entice The Firmament
03. Desacralize His Throne
04. Pandemonium
05. Let The Symphony Bound Your Spirit


Voto: 7,5/10

domenica 13 maggio 2012

HOUR OF PENANCE - Sedition


SEDITION

Etichetta: Prosthetic Records
Data di uscita: 6 Aprile 2012
Genere: Brutal Death Metal

Introduzione:

Un massacro sonico. Non ci sono altre parole al di fuori di queste per descrivere il lavoro brutal-death italico dell’anno, ovvero “Sedition”, la quinta fatica in studio degli (orgogliosamente) italiani Hour Of Penance. Prendete la violenza brutale della scuola americana (Nile, Cannibal Corpse, Hate Eternal, Morbid Angel ecc…), mescolatela all’epicità anticristiana dei Behemoth più recenti (“The Apostasy” per esempio), dosate con qualche lineamento più personale ed otterrete “Sedition”; è però doveroso andare con calma e fare qualche passo indietro, tornando al 2003, anno in cui la scena seppe dell’esistenza della band romana. Il primo sigillo ebbe nome “Disturbance” e, fin da allora, la band si fece notare per le sue spiccate qualità tecniche ed esecutive, con pochi eguali nella scena brutal italiana. Così come l’esordio, anche il successivo “Pageantry For Martyrs” (2005) subì la forte influenza della scena americana, smaccatamente tecnica ed anti-melodica, tesa esclusivamente ad una dissacrante ed eretica costruzione di un impenetrabile muro sonoro. Fu con “The Vile Conception” (2008) e con le ottime live performance che gli HOP iniziarono ad essere considerati una seria promessa del brutal tricolore; l’album segnò, inoltre, una strada intermedia tra il passato dei primi due lavori ed il futuro del più sofisticato di “Paradogma”, un album dove la scuola americana lasciò spazio a delle idee più variegate e personali, con qualche lieve venatura epica e melodica. Arriviamo così a “Sedition”: il nuovo lavoro segue le coordinate di “Paradogma”, ne ricalca le orme fedelmente, dal punto di vista compositivo, risultandone un degno successore. Siamo chiari: sempre di death tecnico si tratta, ma tra riff chirurgici, una batteria disumana e precisa al millisecondo, muri sonori volti ad una sacrilega cacofonia, spietata e senza compromessi, anche nel nuovo album si innesta qualche lieve ed oscura melodia, quel tanto che basta per sottolineare certi passaggi o creare la giusta atmosfera, rendendo il tutto più personale, più coinvolgente e più apprezzabile rispetto alla monotonia (comunque anche qui presente in qualche occasione) del genere proposto. “Sedition” si presenta come una mezz’ora secca di scariche violente ed impulsive; un nuovo centro per la band romana, la quale è ormai un vero pilastro del metallo tricolore, un piccolo e grande orgoglio italiano. Non è certo musica per tutti: bisogna amare questo tipo di sonorità alla follia o, semplicemente, basta avere mente ed orecchie aperte ed attente a tutto. Personalmente, ho maggior propensione verso generi più melodici, ma ho sempre un orecchio di riguardo anche verso i modi più pesanti di intendere il metal ed ammetto che gli HOP riescono sempre ad affascinarmi nel modo giusto, quando la sete di metallo estremo diventa incalzante. Fatelo vostro.


Track by Track:

L’introduzione dell’album è affidata ai 50 secondi dell’oscura “Transubstantiatio”, tra suoni apocalittici e soffusi cori gregoriani di sottofondo, in grado di trasportarci brevemente in un’atmosfera alla “Angeli e Demoni”. Giusto il tempo di capire l’ambientazione ed il growl possente di Paolo fa subito tremare le casse dei nostri stereo con la vera opener “Enlighted Submission”: dopo una prima parte d’introduzione con melodie di chitarra appena accennate, la song si trasforma subito in un devastante assalto brutale, dove già capiamo che la batteria di Simone sarà una protagonista indiscussa e ben in evidenza (forse fin troppo) nel susseguirsi dell’album. I riff si succedono senza tregua alcuna, dall’inizio alla fine, con pochi e brevi momenti in cui si ha perlomeno la possibilità di gustare degli ottimi passaggi di chitarra. Ancora più devastante della precedente è “Decimate The Ancestry Of The Only God”: fin dall’introduzione, sono chiari gli intenti di voler creare un muro di suono assolutamente violento ed apocalittico mandando in frantumi il cervello dell’ascoltatore. Nonostante una batteria assolutamente brutale, martellante e precisissima, prorompente nel suo suono ultra-triggerato, si percepiscono gli ottimi riff chitarristici delle asce. I blast-beats e la doppia cassa non danno alcuna tregua, mostrando anche un’ottima versatilità nei passaggi più tecnici e strutturalmente ricercati. Ancora una volta, tra le sfuriate pazzesche, alcune oscure melodie rendono la traccia variegata e personale, anche se forse 5 minuti di durata sono persino troppi per canzoni del genere. Un’ulteriore marea di riff travolge l’ascoltatore in “Fall Of The Servants”, tra fulminei blast-beats ed improvvisi stop’n’go. Gli ingredienti sono gli stessi e la traccia in questione sembra avere un approccio ancora più brutale e devoto alla scuola americana negli intenti, rispetto alle precedenti tracce, e nei riff non sono rari i riferimenti ai consacrati gore-deathsters Cannibal Corpse (tralasciando le loro discutibili tematiche), o agli Hate Eternal. “Ascension” ci fa finalmente respirare lungo il suo corso: una breve introduzione di archi ci introduce a dei riff decisamente più lenti e meno brutali delle canzoni precedenti, ma che concedono maggior spazio alla sperimentazione ritmica ed armonica. Le plumbee melodie chitarristiche e le varie pause richiamano fortemente il sound dei polacchi Behemoth, band assai influente. In altri termini, siamo dinnanzi ad una traccia più epica (prendete il termine in un contesto death) che sacrifica un po’ di velocità d’esecuzione per farci assaporare un arrangiamento più studiato e dei gradevoli e convincenti riff chitarristici, in mezzo a qualche melodia appositamente studiata per l’occasione. Sulla scia dei primi brani viene introdotta “The Cannibal Gods”, ma, tra i consueti furiosi blast-beats, fa spesso incursione una buia melodia di chitarra tesa a diventare il tema portante del brano. Siamo dinnanzi ad un altra song apprezzabile per la sua potenza e per una sua maggiore orecchiabilità, un brano decisamente significativo in una tracklist estremamente brutale e senza compromessi. “Sedition Through Scorn” prosegue ininterrotto il fiume di sangue anticlericale partorito dalla band romana: riff pesanti sottolineati da una batteria sempre martellante ed impetuosa. Proprio per questo motivo, come ci si poteva aspettare, i padiglioni auricolari iniziano ad essere particolarmente provati da tanta “grazia” sonora, ma presa singolarmente, “Sedition Through Scorn” ripercorre fedelmente la strada della band con degli ottimi riff di death tecnico e chirurgico, impostati in un climax apocalittico. “Deprave To Redeem” si imposta sempre sugli stessi binari delle composizioni precedenti, ma gode di alcuni riff chitarristici più aperti ed heavy, alternati ad altri più ricercati tecnicamente. La batteria si fa meno disumana, andando a sottolineare (sempre, comunque, con la solita delicatissima veemenza) tutto l’intenso lavoro di dissonanti armonizzazioni create dalle asce di Paolo e Giulio. Una parte narrata finale chiude questo altro ottimo episodio senza compromessi. Arriviamo al turbolento finale con “Blind Obedience”, una song aggressiva e povera di melodie; questo ultimo episodio non ha più nulla di troppo innovativo da aggiungere a quanto già detto con i brani precedenti. Il brano sussegue i suoi riff senza risaltare nella tracklist e rientrando in un contesto assolutamente ordinario, chiudendo un album comunque di tutto rispetto.


Considerazioni Conclusive:

Alla fine dell’ascolto di “Sedition” non possiamo che confermare l’assoluta e brillante abilità della giovane band romana; al di là dei gusti personali, oggettivamente il lavoro sorprende per la sua qualità elevata e ricercata fin nei minimi particolari, già partendo dalla copertina: un’immagine apocalittica e spettacolare, evocativa e ricca di particolari (così come furono quelle di “The Vile Conception” e “Paradogma”). Dietro un gran prodotto, esistono ovviamente dei grandi musicisti ed è così che possiamo assaporare tutte le abilità di Paolo Pieri (anche singer) e Giulio Moschini alla chitarra, precisi esecutori di veloci riff tecnici ed elaborati; Simone alla batteria è una vera belva umana e non fa rimpiangere il precedente ed apprezzato drummer Mario Mercurio: trita e squarcia tutto ciò che incontra tra colpi assassini di grancassa triggerata, blast-beats atroci e fulminei passaggi sui fusti, il tutto corredato da una precisione ed una potenza invidiabili. Il basso di Silvano Leone riempie delle giuste frequenze il sound della band con necessaria perizia tecnica e precisione, mentre infine la voce cavernosa ed abissale di Paolo trascina l’inferno sonoro degli Hour Of Penance per questi 30 minuti di macello, con il suo growl profondo e feroce. La produzione riesce a valorizzare tutti gli strumenti, con una potenza d’impatto impressionante, anche se va segnalato che il volume esagerato della batteria tende, in varie occasioni, a mascherare il resto degli strumenti; soprattutto nelle partiture più rapide e brutali, i veloci riff di chitarra vengono letteralmente sommersi da una mitragliata di beat di grancassa e rullante e ciò rende l’ascolto confusionario in molti punti dell’album. Un altro aspetto critico della band sono i testi, come sempre anti-religiosi e più propriamente anti-clericali, che cominciano forse ad essere piuttosto ripetitivi. Al di là di questi lievi difetti, gli HOP hanno ormai trovato un loro modo personale e più originale di intendere il brutal death metal e “Sedition” lo dimostra pienamente; l’album merita infatti un plauso e, nonostante qualche momento di noia, si lascia ascoltare con piacere (molto saggia ed apprezzabile, a mio avviso, la scelta di limitare il minutaggio complessivo a 30 minuti; altrimenti, con un sound così pesante, il lavoro sarebbe risultato troppo ripetitivo e alla lunga monotono). Teniamoci strette e supportiamo le meritevoli realtà nostrane come gli Hour Of Penance.


Tracklist:

01. Transubstantiatio
02. Enlighted Submission
03. Decimate The Ancestry Of The Only God
04. Fall Of The Servants
05. Ascension
06. The Cannibal Gods
07. Sedition Through Scorn
08. Deprave To Redeem
09. Blind Obedience


Voto: 8/10

mercoledì 9 maggio 2012

ADRENALINE MOB - Omertà


OMERTA’

Etichetta: Century Media
Data di uscita: 19 Marzo 2012
Genere: Heavy Groove Metal

Introduzione:

Gli Adrenaline Mob potrebbero definirsi come il gradevole epilogo della Portnoy-saga, una storia che ci è stata propinata in lungo e in largo da tutte le web-zine metal del mondo negli ultimi due anni. Facciamo un po’ di chiarezza, riassumendo in due righe il tutto: il (co)fondatore dei Dream Theater Mike Portnoy, funambolico drummer dalla tecnica indiscutibile, abbandona (o è abbandonato da) i suoi compagni d’avventura mentre sostituisce lo sfortunato The Rev dietro le pelli dei metalcorers Avenged Sevenfold. Ulteriormente cacciato da questi ultimi, si introduce in una serie di varie collaborazioni prog, tra una sparata mediatica e un’altra sui suoi ex-compagni, i quali hanno intanto rimpiazzato il vecchio Mike con un nuovo Mike: nientedimeno che Mike Mangini (uno dei drummer più apprezzati del globo). Portnoy si infatua di sonorità meno prog e più heavy metal, entrando a far parte quindi di questi Adrenaline Mob, dove troviamo un altro asso del prog metal mondiale, tale Russell Allen, singer dei Symphony X. Eccoci, quindi, con in mano il primo full-lenght del neo-nato gruppo, dopo un primo EP omonimo che faceva già ben sperare in un lavoro sano e genuino. “Omertà” è tutto fuorché quello che ci si potrebbe aspettare: scordatevi il prog, scordatevi i virtuosismi di batteria, scordatevi i tempi dispari. La musica contenuta qui dentro è solo un fottutissimo hard’n’heavy dalle tinte southern, suonato e cantato con i controcazzi. Poco importa se dietro alla batteria potrebbe esserci chiunque a suonare questi pezzi, perché probabilmente è quello che serviva in questo momento a Mike, dopo anni di intensa concentrazione. L’album spacca con il giusto tiro, dalla prima all’ultima nota senza  troppi momenti morti, ma anche con alcuni cali di tensione non indifferenti. I riff tritaossa sono impostati su un sound potente e dinamico, rendendo praticamente impossibile ad ogni ascoltatore non abbandonarsi ad uno sfrenato headbanging sano e genuino. Insomma, non fatevi abbindolare dai nomi che stanno dietro a questa vera e propria band; non è un semplice progettino fatto tanto per sfogo, ma siamo dinnanzi ad un gruppo solido e deciso a lasciare la propria impronta, o almeno questa è la sensazione che si trae dall’ascolto di questo buonissimo “Omertà”, forse privo di idee troppo originali ma abbastanza fresco e coinvolgente quanto basta. Lanciate il disco e sfogate le vostre frustrazioni: gli Adrenaline Mob non fanno prigionieri.


Track by Track:

Undaunted” rimbalza subito nelle nostre orecchie come una molla. I suoi riff lenti e corposi, da una parte ricordano alcune partiture delle più recenti produzioni moderne di Dream Theater e Symphony X, dall’altra delineano subito il tiro dell’album di Portnoy e soci. Il groove e l’aggressività si portano subito in primo piano, grazie alla perfetta alchimia tra i vari strumenti, su cui spicca la prestazione massiccia e convincente del singer. Il guitar-solo ad opera di Orlando non brilla particolarmente, essendo più che altro giocato su una serie di particolari effettistiche: farà meglio in seguito. Dopo un primo buon biglietto da visita, è il turno di “Psychosane”, e gli Adrenaline Mob iniziano a fare sul serio: il ritmo si fa più intenso, i riff pseudo-nu-metal si susseguono su una batteria saltellante e dinamica. Allen primeggia con una prestazione intensa per tutto il brano, compreso un aggressivo ed esaltante refrain. Il groove padroneggia su tutto il minutaggio del brano ed è impossibile non muovere la testa a ritmo. Orlando sfodera la sua immensa capacità creativa in un assolo non solo tecnico ma anche originale. Un altro attacco poderoso con “Indifferent”, dove Allen riposa la sua ugola sulla strofa acustica e delicata mentre Portnoy non resiste alla tentazione di mostrare la sua abilità tecnica con alcuni dei suoi giochetti sullo strumento. Nonostante il melodico refrain non sia dei più esaltanti, il brano si lascia ascoltare grazie ai suoi riff chitarristici e al suo coinvolgente arrangiamento. Un altro ottimo assolo di Orlando suggella un altro buon brano dinamico e coinvolgente. E’ già tempo di ballad e spunta “All On The Line”, lontanissima dalle prog-ballad di Dream e Symphony; infatti la song in questione si muove su territori hard rock/alternative metal decisamente moderni, con chitarra acustica in primo piano. Ciò non significa che l’intensità dell’esecuzione non sia garantita, anzi, tutt’altro. Infatti questa ballad riesce ad emozionare a dovere grazie soprattutto all’intenso lavoro di Allen, questa volta impostato su binari maggiormente melodici, ma sempre decisi e corposi. Il legame strumentale si sente e garantisce la resa di un brano semplice ma anche molto valido. Si torna al metallo con il riff thrasheggiante di “Hit The Wall”, un brano heavy condito da alcuni lievi accenni sincopati nella strofa, sottolineati dall’ottimo lavoro di Portnoy alla batteria. I vari riff si susseguono con intensità ed aggressività, dando vita ad un lungo brano estremamente graffiante e dinamico. Dai 4 minuti in poi, il brano torna a farsi lento e marziale su un potente riff che più alla Zakk Wylde di così non potrebbe essere, proseguendo per altri due minuti e mezzo tra vocals aspre ed assoli non sempre brillanti. Un brano meno diretto e forse più difficile da assimilare, ma anche ben fatto e riuscito. “Feelin’ Me” strizza ancora l’occhio a Zakk o all’ultimo Ozzy Osbourne, tra riff rocciosi accompagnati da una batteria semplice, minimale ed incisiva. Il brano vince sul versante vocale, grazie ad un Russell sempre molto ispirato, anche se un ritornello stanco ed una struttura fin troppo semplice e ripetitiva rischiano di arrecare un po’ di noia. Visto sotto un'altra ottica, “Feelin’ Me” risulta una song diretta e potente, giusta per muovere la testa per qualche minuto, ma rispetto al resto dell’album è effettivamente trascurabile. “Come Undone” stilisticamente cerca di muoversi sui binari già fissati dai brani precedenti, ma una maggiore melodia e degli inconsueti inserti di archi destano qualche sospetto: si tratta, infatti, di una cover dei Duran Duran, nota pop-rock band di successo negli anni ’80. La cover presentata dalla band esibisce chiaramente un arrangiamento più metal-oriented, risultando un buon esperimento, anche se, in tutta onestà, non brilla particolarmente all’interno della tracklist. Da segnalare la prestazione canora dell’intrigante Elisabeth Hale, la singer degli Halestorm ospitata per duettare con Allen. Torna il nu/alternative metal saltellante con gli echi dreamtheateriani di “Believe Me”, brano cadenzato e melodico nei cori e maggiormente sincopato ed aggressivo nelle varie strofe. La scorrevolezza è assicurata, ma d’altro canto non sussiste alcun punto particolare in grado di far spiccare il volo al brano. Buoni i solos di chitarra (anche se meno ispirati rispetto ad altri precedenti) ed il finale roboante. “Down To The Floor” è un brano dinamico e acceso che si muove su coordinate simil-hard rock, con sprazzi di punk metal ed accenni di crossover. La song in questione è in grado di separarsi dal resto delle tracce del disco pur rimanendo abbastanza ancorata allo spirito aggressivo ed impetuoso dello stesso. La struttura è semplice ed i riff sono pochi, senza grosse sorprese se non un altro ottimo breve assolo di Orlando. L’apice d’intensità melodica del disco è raggiunto con la seconda ballad “Angel Sky”, dove lievi archi ed accordi di chitarre acustiche dettano la trama di un brano lento e delicato sulla scia del precedente lento “All On The Line”. Da segnalare la parte intermedia e la prova vocale di un Allen sempre preciso anche sui toni alti. Ci avviciniamo al finale e, dopo la quiete della traccia precedente, gli Adrenaline Mob ci lasciano con un’altra mazzata dal nome “Freight Train”, in cui siamo travolti dalla consueta valanga di riff potenti, solos precisi e tecnici e vocals sanguigne. Nonostante ciò, la struttura è inconcludente e monotona, il ritornello lascia ben poca soddisfazione ed il proseguire stesso della canzone tende probabilmente ad essere un po’ troppo ripetitivo, con un finale decisamente amaro e troppo scialbo; insomma, dopo una buona dose di canzoni riuscite, avremmo preferito essere congedati con un brano più solido, ma in ogni caso siamo già soddisfatti del buon lavoro svolto nelle canzoni precedenti.


Considerazioni Conclusive:

Nulla da eccepire, “Omertà” è un bel lavoro, suonato e cantato con passione e grinta. Per una cinquantina di minuti scarsi siamo riusciti ad abbandonare l’idea che Portnoy e Allen siano adatti solo al progressive metal; l’intero lavoro, infatti, scorre abbastanza fluido e corposo, senza grandi punti luminosi che brillino su altri, ma anche senza grossi imperdonabili flop. Le songs suonano potenti e dirette, estremamente alla portata dell’ascoltatore medio. Ma oltre alle fattezze dei due maestri di cui abbiamo abbondantemente parlato, ovvero Mike e Russell, chi sta dietro alla realizzazione di questo album? Non dobbiamo infatti dimenticare che un buon 50% di riuscita del full-lenght dipende dalla classe di un certo Mike Orlando, un chitarrista abilissimo e dalla notevole tecnica sul suo strumento, convincente nei pesanti riff e anche nell’esecuzione dei solos. Oltre a Orlando, al basso troviamo Paul Di Leo (uscito dalla band appena dopo la registrazione di “Omertà”) che esegue il suo lavoro onestamente ed in modo precisissimo, donando indispensabili frequenze basse a supporto dei riff di Orlando. Portnoy si dimostra incazzato al punto giusto, pesta le pelli con ferocia nel momento in cui è richiesto più tono e va ad ammorbidire il tocco nei momenti più riflessivi. Che dire di Russell, l’autentica chicca che dona dei magici punticini in più al lavoro. Sulla scia di heavy-metal-singers come Jorn Lande (incisero assieme anche un progetto, chiamato Allen-Lande), Mattew Barlow (per la teatralità) o più alla lontana Phil Anselmo (del quale, Allen, pur mostrando una tecnica canora più incisiva e preparata, condivide sicuramente la grinta), il nostro frontman sciorina tutta la sua potenza; il suo attuale modo di cantare, sempre melodico ma anche più rauco e robusto, è forse più idoneo agli Adrenaline Mob piuttosto che ai suoi Symphony X, anche se in realtà l’evoluzione pseudo-thrash di quest’ultimi è maturata assieme a lui, risultandone adatta. Allen alterna, quindi, momenti violenti e rabbiosi con partiture più rilassate e delicate, senza mai risultare banale. Insomma, con un songwriting il più delle volte vincente, con musicisti di tutto rispetto, con una super produzione pomposa e con un artwork fresco e divertente, gli Adrenaline Mob si confermano già una solida realtà, pronta a sfoderare le armi migliori in un prossimo futuro, speriamo, non troppo lontano.


Tracklist:

01. Undaunted
02. Psychosane
03. Indifferent
04. All On The Line
05. Hit The Wall
06. Feelin’ Me
07. Come Undone
08. Believe Me
09. Down To The Floor
10. Angel Sky
11. Freight Train


Voto: 7,5/10